Professione

Praticanti, Irap dovuta se l’apporto crea valore aggiunto

di Gianfranco Ferranti

L’assunzione di un praticante e l’utilizzo di una pluralità di studi situati in diversi Comuni possono configurare il presupposto impositivo dell’Irap. Questi principi sono stati recentemente affermati dalla Corte di cassazione ma non possono essere generalizzati, essendosi la stessa Corte pronunciata differentemente in relazione a casi analoghi. Vanno, pertanto, definiti i limiti entro i quali tali indicazioni debbano trovare applicazione.

I praticanti

La Corte ha stabilito, nella ordinanza 1723/2018 , che il giudice non può limitarsi ad affermare che l’apporto del praticante di un consulente finanziario non costituisce di per sé un concreto incremento della prestazione intellettuale, ma deve vagliare se il professionista abbia, con tale apporto «proprio della professione da questi esercitata, accresciuto il valore della consulenza fornita ai clienti dello studio, considerando anche che si era determinato a corrispondere a tale collaboratore un emolumento».Tale affermazione appare, ad un primo esame, in contrasto con le conclusioni cui è in precedenza pervenuta l’agenzia delle Entrate, che nella circolare 45/E del 2008 aveva ritenuto che tale attività sia «in sostanza funzionale alle esigenze formative del tirocinante» e non in grado di potenziare l’attività del professionista. In tal senso si era pronunciata la stessa Cassazione nelle pronunce 2520/2014 e 8834/2009. Nella sentenza 17920/2013 era stato, però, affermato che occorreva verificare se «i praticanti svolgevano di fatto le funzioni del personale dipendente, in misura tale da determinare un’autonoma organizzazione».

Nella ordinanza 6418/2014 è stato, invece, precisato che non assume rilevanza la circostanza che il professionista eroghi modesti compensi ai suoi praticanti.Dal complesso di tali pronunce emerge, quindi, che l’attività svolta da praticanti e tirocinanti è, in via di principio, irrilevante ai fini in esame, tranne che nei casi in cui la natura delle prestazioni rese dagli stessi e l’entità dei compensi attribuiti inducano ad affermare il contrario.

La presenza di più studi

Nell’ordinanza 29626/2017 la Suprema corte ha sancito che sussiste il requisito dell’autonoma organizzazione se un medico convenzionato con il Ssn non si limita a svolgere tale attività ma esercita anche quella di odontoiatra, per la quale dispone di «tre studi situati in diversi e altrettanti comuni» e di due unità operative odontoiatriche.Nella precedente ordinanza 2967/2014 era stato, invece, affermato che l’utilizzazione, da parte di un medico di base del Ssn, «di due studi costituisce soltanto uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio dell’attività professionale autonoma». Ad analoghe conclusioni era pervenuta l’ordinanza 24585/2017.Anche in questo caso si ritiene, pertanto, che occorra valutare caso per caso se l’ubicazione e le dimensioni degli immobili siano tali da far insorgere il presupposto impositivo, come affermato per gli studi professionali nella sentenza 23155/2010.

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