Imposte

Premi di risultato fino a 3mila euro, per il solo 2023 aliquota tagliata al 5%

Nel Ddl di bilancio imposta ridotta rispetto al 10% per fare crescere i salari: un obiettivo difficile da raggiungere se non si rilancia questo strumento ripensando il requisito dell’incrementalità

di Enzo De Fusco

Solo per il 2023, la tassazione dei premi di risultato erogati dai datori di lavoro sulla base di accordi collettivi passa dal 10 al 5 per cento. Con un intervento chirurgico contenuto nell’articolo 15 del disegno di legge di bilancio 2023, il legislatore modifica infatti l’articolo 1, al comma 182, della legge 208/2015, in cui è prevista l’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali sui premi di risultato di ammontare variabile e sulle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa, entro un limite annuo di 3mila euro. La norma è prevista a favore dei titolari di redditi di lavoro dipendente non superiore a 80mila euro nell’anno precedente quello di percezione delle somme.

La relazione tecnica prevede che sulla base dei dati delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche relative all’anno d’imposta 2019 risulta erogato un ammontare di premi di circa 2.647,3 milioni: vale a dire, lo 0,008% del monte retribuzioni corrisposto ogni anno dalle aziende private.

Prudenzialmente, è stato stimato un incremento dell’ammontare dei premi a tassazione separata di circa il 10% per considerare l’effetto incentivante relativo alla nuova aliquota pari a 264,7 milioni, per un totale di base imponibile di circa 2.912 milioni.

Applicando l’aliquota dell’imposta sostitutiva pari al 5% alla base imponibile, tenuto conto delle minori entrate associate all’imposta sostitutiva vigente e di un’aliquota marginale media Irpef per i redditi di lavoro dipendente pari al 39% sulla sola parte incrementale, la relazione tecnica stima una variazione negativa delle entrate derivanti dall’imposta sostitutiva pari a -119,1 milioni, una variazione di gettito Irpef di circa -103,2 milioni e una variazione di gettito delle addizionali regionali e comunali pari rispettivamente a circa -4,6 e -1,8 milioni. L’effetto complessivo, dunque, risulta di -228,7 milioni in termini di competenza.

Al di là delle valutazioni di gettito, la modifica della sola aliquota dal 10 al 5% potrebbe non essere sufficiente a imprimere una svolta sull’utilizzo di questo strumento per far crescere i salari. Dal 2016 a oggi, infatti, l’agenzia delle Entrate ha interpretato in modo molto restrittivo il provvedimento normativo, disincentivando molto le aziende (i risultati lo dimostrano).

Il comma 182 della legge 208/2015 stabilisce che il beneficio fiscale è riconosciuto qualora i premi di risultato siano legatati a «incrementi» di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili.

Secondo l’Agenzia, se un accordo stabilisce uno specifico indicatore aziendale questo deve essere ogni anno superiore a quello riscontrato nel periodo immediatamente precedente con una spirale di crescita progressiva, automatica.

Per fare un esempio, se un’azienda nel 2016 (primo anno di vigenza della norma) ha individuato nell’accordo sindacale l’Ebitda annuale come indicatore di crescita, secondo l’agenzia delle Entrate l’azienda per poter detassare nel 2023 è costretta a dimostrare un incremento progressivo e automatico dell’indicatore ottenuto dal 2016 a oggi. Questo aspetto non può andare bene poiché, tranne rarissime eccezioni, nessuna impresa può avere un sistema di crescita così concepito.

Se si vuole ripristinare un testo normativo che guardi in faccia la realtà, risultando così efficace ai fini dello sviluppo dello strumento, è necessario ripensare il requisito dell’incrementalità. Esso, infatti, non può essere verificato rispetto a un dato ottenuto nel periodo congruo immediatamente precedente innescando la spirale irraggiungibile prima illustrata, bensì rispetto a obiettivi di crescita stabiliti, ad esempio, di volta in volta all’inizio di ogni anno (anche se inferiori a quelli dell’anno precedente) e verificati al termine del periodo.

Una modifica di questa natura ha il pregio di sganciarsi da una logica di automatismo irreale e decontestualizzato e, allo stesso tempo, ha il pregio di tenere conto delle variabili economiche interne ed esterne all’azienda che si possono verificare ogni anno.

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