Controlli e liti

Processo tributario, testimonianze ammesse solo con l’ok del giudice

La novità vale a partire dai ricorsi notificati dal 16 settembre scorso. Lo strumento resta però eccezionale: rimesso alla decisione della Corte

ADOBESTOCK

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Via libera all’ammissione della prova testimoniale nel processo tributario, a partire dai ricorsi notificati dal 16 settembre scorso. Lo prevede la riforma introdotta con la legge 130/2022, che ha riscritto l’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992.

Nella normativa previgente, tuttora applicabile ai procedimenti avviati prima del 16 settembre, l’articolo 7 stabiliva il divieto assoluto della prova testimoniale. Un divieto che è stato però stemperato dall’evoluzione giurisprudenziale formatasi anche in forza delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu).

Già con la sentenza 18/2000 la Corte costituzionale ha affermato che, in virtù dei principi del giusto processo, che richiedono parità di armi tra Fisco e contribuente, quest’ultimo deve poter introdurre nel giudizio tributario le dichiarazioni dei terzi, alla pari di quanto è concesso all’amministrazione finanziaria. Tali dichiarazioni, da chiunque prodotte, hanno però mera natura indiziaria, e non propriamente probatoria.

La Cedu, inoltre, con la nota sentenza “Jussila c/Finlandia” del 23 novembre 2006 ha avuto modo di chiarire che il divieto assoluto di prova testimoniale è incompatibile con i principi del giusto processo, sanciti nell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, anche nell’ambito del processo tributario, qualora da tale divieto il contribuente possa subire un grave pregiudizio (in questo senso, anche la Cassazione 24531/2019). Non vi è dubbio, quindi, che i tempi erano maturi per apportare dei correttivi alla regola originaria dell’articolo 7 del Dlgs 546/92.

Strumento eccezionale

A partire dai ricorsi proposti dal 16 settembre scorso, il giudice – sia in primo che in secondo grado – può ammettere la prova testimoniale, in forma scritta, con le modalità di cui all’articolo 257-bis del Codice di procedura civile, ad alcune condizioni. In primo luogo, la decisione compete soltanto al giudice, che può adottarla sia se compulsato dalle parti, sia a fronte dell’opposizione delle stesse. La scelta di avvalersi della prova testimoniale deve inoltre conseguire da una valutazione di “necessarietà” ai fini della formazione del convincimento del giudice. Non si tratta dunque di uno strumento di prova “ordinario” ma di un mezzo tendenzialmente eccezionale, rimesso alla insindacabile decisione delle nuove Corti di giustizia tributaria.

L’ulteriore limite è che la prova testimoniale non deve vertere su circostanze di fatto attestate dal pubblico ufficiale. Il riferimento è alle operazioni e ai fatti che sono intervenuti in sede di accessi, ispezioni e verifiche, documentati di regola in processi verbali di constatazione. Le deduzioni dei verificatori, quali ad esempio le percentuali di ricarico, non appartengono invece ai fatti dotati di fede privilegiata e sono dunque suscettibili di essere contrastate dalla prova testimoniale. Allo stesso modo, si ritiene che un’eventuale dichiarazione resa da terzi ai verificatori ben possa essere contestata attraverso la testimonianza scritta di altri soggetti, riguardante le medesime circostanze. Con la differenza che la prima ha di regola natura indiziaria, mentre la seconda ha valenza propriamente probatoria.

Presunzioni legali o semplici

Le tipologie accertative in cui la testimonianza scritta può svolgere un’utile funzione processuale sono, tra le altre, quelle che si fondano su presunzioni legali o semplici, poste a favore del Fisco.

Si pensi, ad esempio, agli accertamenti da indagini finanziarie e alla possibilità per il contribuente di dimostrare la natura non reddituale dei versamenti attraverso le testimonianze di terzi. Considerazioni analoghe valgono per l’accertamento da redditometro, al fine di provare l’origine non reddituale (piccole elargizioni, liberalità indirette) della provvista di denaro utilizzata per far fronte alle spese sostenute. Ma anche nella casistica molto diffusa degli accertamenti ai soci di società a ristretta base: in questo caso, la prova testimoniale può essere utile per stabilire se il socio fosse o meno estraneo alla gestione sociale, così da escludere quella “complicità tra soci” che la Cassazione ha posto a base della presunzione semplice di evasione.

ESEMPI DI APPLICABILITÀ

Indagini finanziarie
Secondo la giurisprudenza di Cassazione, l’accertamento da indagini finanziarie è una presunzione legale relativa. Con la testimonianza di terzi sarà dunque possibile opporre che, ad esempio, i versamenti bancari non contabilizzati non hanno natura reddituale, poiché derivano da elargizioni di terzi o perché sono il frutto del lavoro del convivente.

Redditometro
Anche per il redditometro l’orientamento prevalente della Cassazione è favorevole all’inquadramento tra le presunzioni legali relative. La testimonianza di terzi, se ammessa dal giudice, potrà essere usata per provare che le risorse per le spese provengono, ad esempio, da parenti o dal convivente.

Società a ristretta base
Nell’accertamento di società a ristretta base partecipativa c’è una presunzione semplice di derivazione giurisprudenziale. Di regola, occorre dimostrare l’estraneità del socio alla gestione sociale: con la prova testimoniale si potrà quindi evidenziare, ad esempio, che il socio non era mai presente in azienda ed era estraneo alle riunioni decisionali dell’organo amministrativo.

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