Controlli e liti

Professionisti, la «consapevolezza» del reato è sufficiente a creare il concorso

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Il consulente che in qualche modo partecipa alla frode commessa dal proprio cliente concorre nel reato tributario per il solo fatto di essere consapevole del delitto perpetrato pur non essendo lui l'ispiratore. Scatta poi l'aggravante se svolge abitualmente una consulenza fiscale e il sequestro può essere eseguito nei suoi confronti anche se non ha tratto alcun concreto profitto.

A fornire questi importanti principi è la Corte di cassazione, sezione 3 penale, con la sentenza n. 1999 depositata ieri.

Nei confronti di un consulente fiscale veniva disposto il sequestro preventivo su beni mobili ed immobili per il reato di indebita compensazione. Più precisamente, alcune società, clienti del consulente, si accollavano il debito tributario di terzi ed effettuavano attraverso la trasmissione telematica dei modelli F24, la compensazione con crediti fittizi. Il consulente per talune di queste società apponeva visto di conformità.

Il tribunale respingeva la richiesta di sequestro preventivo, ma il Riesame la confermava. L'indagato proponeva così ricorso in Cassazione lamentando un'errata interpretazione della norma sul reato di indebite compensazioni. La difesa evidenziava che il consulente si era limitato a svolgere il proprio incarico ed era estraneo ai fatti illeciti in quanto l'attività (delittuosa) di compensazione era stata attuata da terzi. Peraltro, dagli indebiti utilizzi dei crediti inesistenti non aveva tratto alcun concreto beneficio. Era così assente qualsivolgia contributo causale all'illecito.

La Cassazione nel respingere il ricorso, ha fornito interessanti principi. Innanzitutto l'indebita compensazione derivante dall’«accollo fiscale» integra il reato. Circa la responsabilità del consulente, per i giudici di legittimità ricorre sicuramente quando egli sia l'ispiratore della frode, ma anche quando sia soltanto consapevole di porre in essere l'attività delittuosa. La certificazione dei crediti provava tale circostanza.

I giudici hanno poi esaminato la nuova aggravante (articolo 13 bis comma 3 Dlgs 74/2000) secondo cui le pene sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente durante l'attività di consulenza fiscale svolta da professionista o da intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

Per la ricorrenza di tale circostanza occorre un presupposto soggettivo ed uno oggettivo. I giudici hanno rilevato che la nozione di “professionista” va intesa in senso sostanziale, e quindi è tale chiunque, nell'esercizio della professione, svolge attività di consulenza fiscale. Circa il profilo oggettivo la norma richiede la “serialità” nell'elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione. Occorre così una certa abitualità, ripetitività della condotta incriminata, assumendo carattere di riproducibilità anche in futuro.

Infine, la sentenza chiarisce che il concorso nel reato implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e può essere disposto il sequestro preventivo per equivalente indifferentemente nei confronti di uno o più degli autori della condotta criminosa a prescindere dall'arricchimento personale di ciascuno.

La sentenza n.1999/18 della Cassazione

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