Professione

Professionisti, difficile trovare collaboratori

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di Teresa Zambon

I nostri studi stanno invecchiando e manca il ricambio generazionale, ormai da tempo.

Non riusciamo a inserire giovani leve nei nostri studi perché la nostra professione non è più appetibile: «Quando ho iniziato la professione» è un paragone che non tiene più, occorre ragionare sulle esigenze e sulle aspettative dei giovani di oggi, che sono diverse dalle nostre. I giovani sono ancora disposti a fare sacrifici per una crescita professionale, ma la conciliazione della loro vita con il lavoro sta salendo notevolmente nella scala dei valori, prova ne è la quantità di giovani e non che post pandemia hanno lasciato la loro occupazione generando quell’effetto noto come «great resignation».

Del resto, possiamo pensare di attirare i giovani se chi esercita la nostra professione viene visto sempre più pericolosamente vicino ad un burnout da sovraccarico di adempimenti fiscali ed amministrativi?

Anche se si ha uno studio strutturato, in cui poter proporre un progetto professionale, si incontrano diverse difficoltà.

Gli elenchi degli aspiranti praticanti sono sempre meno numerosi e diventa problematico riuscire ad avere una continuità di collaborazione dopo aver investito sulla crescita professionale dei collaboratori.

I laureati triennali che iniziano la pratica durante il percorso della laurea magistrale, una volta ultimati i sei mesi previsti, fino al conseguimento della laurea magistrale proseguono solo volontariamente la collaborazione in studio e durante quel periodo occorrerebbe individuare forme di remunerazione diverse dalla borsa di studio. Poi, una volta laureati magistralmente, completata la pratica e raggiunta l’abilitazione, si presenta loro una selva di elenchi e registri che richiedono ulteriore esperienza e formazione.

Entrare a far parte dello studio associato, o delle attuali stp, un tempo massimo obiettivo di crescita professionale, non è più così allettante se il prezzo da pagare è una tassazione sproporzionatamente svantaggiosa e iniqua, se paragonata al regime forfettario.

Ecco allora che forse risulta loro più semplice fare un percorso da revisore legale, magari in una “big four”, in cui la pratica triennale può essere svolta in continuità a partire dalla laurea triennale, o semplicemente svolgere le molteplici attività che sono nostre proprie, come il controllo di gestione, la consulenza direzionale e tante altre, presso società di consulenza, senza la necessità di un’abilitazione, che non è richiesta in assenza di esclusive.

Se non sapremo trasmettere la passione per questa professione, specializzandoci in settori di consulenza e non di mero adempimento, non riusciremo ad invertire questa tendenza e ci ritroveremo in un futuro non troppo lontano in una piccola riserva, imbrigliata da molteplici normative e con qualche problema in più di sostenibilità previdenziale.

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