Pubblicità inerente se legata ai ricavi nel mercato italiano
La capogruppo estera non deve remunerare le spese perché titolare del marchio
A prescindere dalla titolarità del marchio, devono considerarsi inerenti i costi di pubblicità che contribuiscono a incrementare i ricavi in Italia e si riferiscono a pubblicità/eventi promossi nel mercato Italiano. È questo il principio che è stato affermato dalla Commissione tributaria provinciale di Milano nella sentenza 1023/23/2020 depositata lo scorso 27 maggio (presidente e relatore Mainini).
Il caso esaminato ha riguardato una società di capitali facente parte di un gruppo internazionale produttore internazionale con diversi marchi di beni durevoli, elettronica di consumo, grandi elettrodomestici e prodotti audio Tv. A seguito di una verifica fiscale avviata nei confronti della società, ai sensi dell’articolo 110, comma 7, del Tuir (transfer pricing), l’agenzia delle Entrate rilevava, ai fini Ires e Irap, relativamente al periodo d’imposta 2013 la mancata remunerazione di alcuni costi di pubblicità e sponsorizzazione che erano stati sostenuti dalla società per l’attività di marketing e pubblicità connesse allo sviluppo del valore di fabbrica e dei nomi commerciali dei marchi a favore della capogruppo estera.
In particolare, secondo l’Agenzia questi costi avrebbero dovuto essere remunerati dalla capogruppo estera (in qualità di beneficiaria e titolare del marchio) attraverso il rimborso delle spese sostenute e un ulteriore ricarico quale margine di profitto ottenuto da società terze impegnate in attività similari. La società resisteva in giudizio, evidenziando l’illegittimità del rilievo, considerato che i costi sostenuti erano classificabili tra quelli di pubblicità “tradizionale” (trattandosi di spazi pubblicitari su riviste e radio, sviluppo del sito internet, promozione sul territorio di convention con agenti e clienti) e il relativo sostenimento era stato finalizzato a incrementare le vendite dei prodotti distribuiti in Italia sul mercato italiano.
La Ctp di Milano ha riconosciuto l’illegittimità dell’accertamento. In primis è stata messa in evidenza la politica commerciale intrapresa dalla società che, in un mercato degli elettrodomestici già in crisi, ha volutamente strutturato al posizionamento e sviluppo di un’attività di promozione, comunicazione e marketing finalizzati all’aumento delle vendite sul mercato italiano.
In questo contesto, la tesi dell’ufficio secondo cui i costi di pubblicità avrebbero dovuto essere automaticamente ribaltati al gruppo, è stata considerata alla stregua di una mera presunzione, considerato altresì che la società non aveva subìto riaddebiti per la diffusione e/o valorizzazione del marchio né pagato royalties per il suo uso. Pertanto, non sussisteva alcun obbligo di ripianamento da parte del gruppo delle spese di sviluppo, mantenimento, pubblicità sostenute dai distributori locali in quanto queste spese non erano collegabili al potenziamento del valore del marchio a livello internazionale e non rispondevano a logiche strategiche a livello globale.
Inoltre, il collegio giudicante ha riconosciuto l’illegittima mancata allegazione al Pvc integrante l’avviso di accertamento del calcolo riepilogativo dei costi che, a detta dell’ufficio, avrebbero dovuto essere ribaltati. Questi costi avrebbero dovuto essere distintamente portati a conoscenza della società e non, come è stato fatto, integrati nel corso del giudizio.