Controlli e liti

Può coincidere l’autore dei due illeciti

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di Antonio Iorio e Laura Ambrosi

Il reato di riciclaggio (articolo 648-bis del Codice penale) scatta nei confronti di chi, fuori dei casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo o compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Se i beni e i soldi sono impiegati in attività economiche si commette il reato di analoga gravità di autoriciclaggio, previsto dall’articolo 648-ter. La giurisprudenza è stata sinora molto rigorosa: i giudici di legittimità hanno ritenuto responsabile di riciclaggio il rappresentante legale e il socio di una società che avevano fatto transitare dalla contabilità, sotto forma di finanziamento, i proventi di un contrabbando di idrocarburi per il quale era stato condannato un loro parente (Cassazione, sentenza 11491/2017).

Perché ci sia riciclaggio basta inoltre compiere operazioni volte non solo a impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, con qualsiasi espediente che aggiri la libera e normale esecuzione dell’attività svolta (Cassazione, 1422/2012). Ed ancora è di per sé un autonomo atto di riciclaggio qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi dopo precedenti versamenti e anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario a un altro diversamente intestato, in un altro istituto di credito (Cassazione, 546/2011), anche se c’è completa tracciabilità dei flussi: data la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito, il denaro è automaticamente sostituito (Cassazione, 47375/2009). Non occorre sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni: basta che sia anche solo ostacolata (Cassazione, 1422/2012 e 3397/2012).

Il riciclaggio (a differenza dell’autoriciclaggio) richiede il coinvolgimento di terzi estranei al delitto principale (da cui provengono i denari).

L’autoriciclaggio risolve queste difficoltà di provare il consapevole coinvolgimento del terzo nella “ripulitura” delle somme illecite: è lo stesso soggetto che ha commesso il delitto principale (da cui derivano i beni e le utilità) a trasferirle, investirle, impiegarle eccetera.

Rispetto al riciclaggio, è richiesto un ostacolo all’identificazione della provenienza non generica ma concreta.

Da considerare poi che questi delitti sono inseriti tra i reati “fonte” che fanno scattare la responsabilità dell’ente a norma del Dlgs 231/2001. Pertanto, con riferimento all’autoriciclaggio se il manager di una società commette, ad esempio, un reato fiscale a vantaggio dell’ente e poi cerca di trasferire, sostituire o reimpiegare il provento dello stesso, anche la società potrà essere chiamata a rispondere di autoriciclaggio. Va detto che, operativamente, è complicato predisporre idonei modelli organizzativi che possano effettivamente prevenire l’autoriciclaggio in azienda e quindi mettere al riparo da sanzioni: sono fattispecie decisamente aperte, soprattutto dopo gli ultimi orientamenti giurisprudenziali in merito ai delitti fonte (si veda l’articolo a sinistra), per le quali difficilmente è possibile prevedere procedure preventive esaustive.

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