Controlli e liti

Quando la Cassazione «sbanda» sui dividendi europei

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di Gianluigi Bizioli

Una sentenza isolata può destare perplessità. Due destano preoccupazione. Il 13 dicembre 2018 la Cassazione ha depositato la sentenza 32255 in cui si sostiene la non applicabilità dell’esenzione della ritenuta alla fonte – prevista dall’articolo 27-bis del Dpr 600/1973 – sui dividendi pagati da una società figlia residente a una società madre lussemburghese «in quanto la società lussemburghese godeva dell’esenzione dei dividendi nel Paese di residenza, per cui non poteva cumulare tale beneficio con quello della restituzione della ritenuta subita sui dividendi in Italia». Era convinzione dei giudici che l’esenzione della tassazione in Lussemburgo non avrebbe generato doppia imposizione e, quindi, un ostacolo al mercato interno.

Questa pronuncia ha sollevato la perplessità del mondo professionale e di quello imprenditoriale, perché generava incertezza pur dinanzi a una disciplina che era sempre stata ritenuta priva di dubbi applicativi. La preoccupazione era però minimizzata dal carattere isolato della pronuncia e dalla sua contraddizione rispetto al testo e alla ratio della direttiva madre-figlia, già interpretata in più occasioni dalla Corte di giustizia, e dello stesso articolo 27-bis.

Il 10 ottobre scorso, però, è arrivata la pronuncia 25490, ove la stessa Cassazione, al punto 13 giunge alle medesime conclusioni: quando la società madre (residente in un altro Stato membro) beneficia dell’esenzione sui dividendi percepiti, non può godere «anche» dell’esenzione prevista dall’articolo 5 della direttiva, attuato in Italia con il citato articolo 27-bis. Secondo la Cassazione l’eliminazione della doppia imposizione, infatti, non deve condurre all’opposto effetto indesiderato della «doppia non imposizione» (par. 13.2).

Va ricordato che la direttiva madre-figlia si propone di rendere neutrale la distribuzione di dividendi all’interno della Ue, eliminando ogni discriminazione rispetto ai pagamenti interni. Questo obiettivo è previsto dal Considerando n. 4 della direttiva: «(I) raggruppamenti di società di Stati membri diversi possono essere necessari per creare nell’Unione condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per assicurare così il buon funzionamento del mercato interno. Queste operazioni non dovrebbero essere intralciate da particolari restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri». Al fine di perseguire tale obiettivo, la direttiva elimina la doppia imposizione giuridica – sull’uscita dei dividendi – attraverso l’esenzione dall’applicazione della ritenuta alla fonte (articolo 5) e, allo stesso tempo, la doppia imposizione economica – attraverso l’esenzione o il credito d’imposta – per i dividendi in entrata (articolo 4), quando le società coinvolte soddisfino i requisiti previsti dagli articoli 2 e 3. Fra questi requisiti, l’articolo 2, lettera a), n. iii) –riprodotto dall’articolo 27-bis, comma 1, lettera c) – prevede che la società madre «sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, a una delle imposte elencate nell’allegato», che è stato interpretato come esenzione “soggettiva” dalle imposte sui redditi, cioè dell’intero reddito prodotto e non, come sostiene la Cassazione, come esenzione della tassazione dei dividendi ricevuti (peraltro imposta dalla direttiva stessa).

In questo contesto, l’esenzione dei dividendi in capo alla società madre (o l’attribuzione del credito d’imposta indiretto) è norma di sistema, perché attua l’eliminazione della doppia imposizione economica, realizzando il principio di tassazione esclusiva nel Paese di produzione del reddito, nel caso di specie l’Italia.

Cassazione 25490/2019

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