Controlli e liti

Reati tributari, aggravante per il concorso del professionista anche con vantaggio diretto

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di Emanuele Florio e Marcello Maria De Vito

La circostanza che il professionista risulti, a sua volta, beneficiario diretto del delitto tributario non osta alla configurabilità dell’aggravante prevista dall’articolo 13-bis, comma 3, del Dlgs 74/2000. L’applicazione di tale circostanza è condizionata alla ricorrenza di due distinti presupposti. Il primo soggettivo, concernente la qualità dell’agente, posto che la norma ne circoscrive l’operatività in capo a un soggetto ben delineato: il professionista o l’intermediario finanziario o bancario. L’altro oggettivo, riferito al comportamento tipico, che deve sostanziarsi nell’elaborazione o nella commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

La sentenza 36212/2019 della Cassazione ha chiarito l’esatta portata dell’aggravante in un caso di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti, tra gli altri, di un commercialista. Il professionista era stato ritenuto responsabile di avere elaborato un modello di evasione fiscale, in concorso con alcuni imprenditori, al fine di sottrarsi al pagamento di debiti fiscali.

La Suprema corte veniva interessata dalla vicenda, su ricorso della Procura, a seguito del provvedimento del Tribunale del riesame che degradava la misura cautelare negli arresti domiciliari.

Il Tribunale riteneva non applicabile l’aggravante prevista dall’articolo 13-bis poiché il professionista aveva agito anche come beneficiario “in proprio” essendo anche comproprietario delle aziende coinvolte.

La Cassazione, ha chiarito che l’articolo 3-bis, comma 3, nel prevedere l’aumento di pena per il concorrente nel reato, si limita a esprimere l’esigenza che l’aggravante si applichi a una fattispecie delittuosa commessa in forma concorsuale, nella quale interagiscano, con peculiari modalità, un professionista o un intermediario finanziario o bancario. La Corte ha precisato che non è anche necessario che questi ultimi agiscano nell’esclusivo interesse del cliente, ben potendo coesistere anche la prospettiva di un loro vantaggio personale.

Non può escludersi l’aggravante in questione al professionista che elabori modelli di evasione anche a proprio beneficio, non foss’altro perché la concomitanza di un interesse fiscale dell’agente attribuisce al fatto una dimensione finalistica più complessa. Infatti, all’interesse di riscuotere un compenso quale corrispettivo della consulenza illegale si somma la volontà di conseguire un vantaggio fiscale diretto. Tuttavia, perché l’azione concorrente del consulente acquisti una speciale offensività, occorre che egli abbia elaborato un modello con lo scopo di proporne il risultato a una pluralità di clienti che versino in quella particolare condizione di partenza, a prescindere dalla numerosità dei casi di concreta attuazione. Ma ciò non è ancora sufficiente. È necessario altresì che il modello di evasione risulti effettivamente applicato proprio in conseguenza dell’azione propulsiva del professionista che, consegnando il modello al cliente, ne consolida il proposito evasivo.

Il riferimento alla commercializzazione induce a ritenere che il reato aggravato si perfezioni non soltanto quando il soggetto elabora personalmente i modelli di evasione, ma anche quando diffonda modelli elaborati da altri.

In conclusione, il professionista che concorre nel delitto tributario può per certo essere punito in modo più grave anche quando ne ritragga un vantaggio fiscale diretto, sempreché quel vantaggio consegua all’adozione di un modello di evasione:
•ideato per essere riprodotto;
•e che egli ha divulgato alla clientela in veste di consulente fiscale.

Cassazione, sentenza 36212/2019

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