I temi di NT+Modulo 24

Reddito d’impresa, valutazioni di bilancio strategiche anche nelle verifiche

L’ordinanza 34483 della Cassazione legittima la discrezionalità sulla qualificazione di un componente negativo

di Massimo Basilavecchia

L’accertamento sulle imprese in contabilità ordinaria, in particolare se medio grandi (o non “micro”), registra un progressivo percorso evolutivo che tende a dare sempre maggiore rilevanza alla corretta redazione del bilancio, alla fedele rappresentazione dei fatti aziendali, all’adozione di criteri valutativi tratti dai principi contabili e dalle norme civilistiche.

Pur nella invarianza del testo delle principali regole sull’accertamento del reddito d’impresa, sono emerse norme o prassi applicative che indirizzano il controllo sostanziale piuttosto sulla coerenza e continuità dei criteri di rilevazione contabile, che non verso la verifica dell’attuazione delle norme in tema di variazioni in aumento o in diminuzione del reddito d’impresa.

La disciplina normativa

Delle norme costituisce un esempio anticipatore la disposizione del penultimo periodo dell’articolo 1, comma 34, della legge 244/2007, secondo la quale “gli ammortamenti, gli accantonamenti e le altre rettifiche di valore imputati al conto economico a partire dall’esercizio dal quale, in conseguenza della modifica recata dal comma 33, lettera q), numero 1), decorre l’eliminazione delle deduzioni extracontabili, possono essere disconosciuti dall’Amministrazione finanziaria se non coerenti con i comportamenti contabili sistematicamente adottati nei precedenti esercizi, salva la possibilità per l’impresa di dimostrare la giustificazione economica di detti componenti in base a corretti principi contabili”. Veniva esplicitato il condizionamento della deducibilità fiscale alla corretta, coerente e sistematica applicazione dei principi contabili.

La derivazione “rafforzata” è stata sempre più adottata, quale principio di semplificazione nel passaggio dal risultato di esercizio al reddito imponibile; ed una sua ulteriore accentuazione costituisce da ultimo un dichiarato obiettivo del disegno di legge delega sulla riforma dell’ordinamento tributario.

Le norme sostanziali, nella misura in cui hanno sempre più avvicinato il reddito da dichiarare al risultato di esercizio, hanno indirettamente condizionato i contenuti e i metodi dell’attività di accertamento, indirizzando le verifiche non più sulla formalistica applicazione delle regole del Tuir sul concorso dei diversi componenti alla determinazione del reddito, ma prioritariamente verso l’attendibilità dei dati di bilancio; le prassi applicative di conseguenza si sono gradualmente adattate al mutato rapporto tra bilancio e dichiarazione: si pensi alle importanti circolari sulla correzione della dichiarazione per errori di impostazione contabile e all’evoluzione del trattamento sanzionatorio di questa tipologia di errori (articolo 4, comma 1-bis, del Dlgs 74/2000, in tema di reati tributari e, con riferimento all’errata imputazione a periodo, articolo 1, comma 4, del Dlgs 471/1997).

Si può dire, in buona sostanza, che si è modificato il rapporto tra i primi due presupposti contemplati dall’articolo 39, comma 1, del Dpr 600/1973 per procedere ad accertamento analitico: la lettera a), che prevede la rettifica del reddito ove la derivazione dell’imponibile fiscale non assuma come punto di partenza i dati di bilancio, viene ad essere intesa in un senso diverso, che mira a verificare che quel dato a base del principio di derivazione sia non solo formalisticamente rispettato, ma abbia una sua veridicità sostanziale. Di conseguenza, come aveva intuito il legislatore del 2007 nel momento in cui venivano eliminate le deduzioni extracontabili, un presupposto per la rettifica previsto per una minoranza di casi (ossia, per imprese che non avessero applicato il principio di derivazione) diventa di uso più frequente se esteso all’ipotesi di un bilancio non correttamente redatto (assumendo come parametro norme contabili e norme civilistiche). E perde terreno, invece, il presupposto di cui alla lettera b), che riguarda il passaggio successivo nella determinazione del reddito, ossia l’effettuazione omessa o errata delle variazioni in diminuzione o in aumento, perché le relative rettifiche saranno sempre meno ammissibili, tanto più la redazione del bilancio risulti conforme a quelle norme.

Gli orientamenti della Cassazione

Sia pure giudicando - purtroppo - su periodi d’imposta lontanissimi, nei quali la rilevanza della corretta redazione del bilancio era senza dubbio minore rispetto a quella degli adattamenti fiscali, la Corte di cassazione, in talune decisioni almeno, sembra influenzata da questo trend che ribalta le gerarchie normative; e si tratta di un approccio assai apprezzabile.

Emblematica l’ordinanza 34483 del 16 novembre (si veda l’articolo), nella quale una totale svalutazione di un proprio credito, compiuta da una Cassa rurale, viene ritenuta del tutto ammissibile, perché motivata dagli amministratori sulla base di una discrezionale valutazione di inesigibilità del credito. Viene così confermata la decisione della Commissione tributaria regionale, che aveva ritenuto insussistenti l’indebito risparmio d’imposta e l’elusività del comportamento, contestati dall’agenzia delle Entrate assumendo che una svalutazione integrale doveva considerarsi perdita e quindi dedotta con i limiti propri delle perdite e solo in presenza di elementi certi e precisi. La Suprema corte recupera l’importanza della valutazione di bilancio e dell’affidabilità che deriva dalle responsabilità assunte dai redattori del documento, legittimando un ambito di discrezionalità nella qualificazione di un componente negativo di reddito purché collegata, appunto, a una precedente corretta scelta in sede di bilancio.

Il rapporto tra i due ordini di prescrizioni, peraltro, non trova sempre la stessa regolazione: un’altra pronuncia della Corte di cassazione, la sentenza n. 20435/2021, pur mostrando la stessa sensibilità in ordine alla rilevanza del rispetto dei principi contabili, lascia tuttavia prevalere la specialità della norma tributaria. Si trattava, in quel caso, di stabilire il criterio di deducibilità nel reddito d’impresa dell’Iva indetraibile in base al rapporto percentuale tra operazioni esenti e operazioni con diritto di detrazione, e la Corte trova la soluzione nell’applicazione del criterio di cassa previsto dall’articolo 99 del Tuir per imputare come componente negativo le imposte deducibili, nonostante i principi contabili, ai fini del risultato di esercizio, qualifichino deducibile quell’Iva quale spesa generale nell’esercizio di competenza.

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