Controlli e liti

Resta la mediazione per quasi 120mila liti fino a 50mila euro

Salta l’addio al reclamo ma si punterà a coordinare autotutela e istituti deflattivi

di Giovanni Parente

La mediazione tributaria resiste. Un bacino di quasi 120mila liti prima di trasformarsi in contenzioso presso le Corti di giustizia di primo grado dovrà continuare a passare prima dal tentativo di accordo con il Fisco e più in generale con l’ente impositore. Rispetto alle prime versioni delle bozze circolare, il Ddl di delega fiscale che sarà sottoposto all’esame del Parlamento non contiene più nell’articolo dedicato ai procedimenti del contenzioso l’intenzione di abrogare l’istituto del reclamo/mediazione. Al suo posto nell’ultima formulazione spunta, invece, l’obiettivo di coordinare la nuova disciplina, contenuta proprio nella delega che amplia i margini dell’autotutela, con gli altri istituti deflattivi del contenzioso attivabili nella fase antecedente la costituzione in giudizio. Il tutto in un’ottica di «massimo contenimento dei tempi di conclusione della controversia tributaria».

Il tema, dunque, di ridurre il contenzioso in ingresso e di cercare di utilizzare il più possibile le strade precedenti alla controversia per cercare una “composizione” tra Fisco e contribuente resta una priorità della delega. Del resto, i numeri parlano chiaro. Il 2022, come effetto della ripresa delle notifiche degli atti dopo la sospensione per il Covid, ha visto un’impennata dei ricorsi pervenuti presso le Corti di giustizia di primo grado: l’88% in più rispetto al 2021. Si conferma, poi, la tendenza dell’assoluta prevalenza delle liti di valore fino a 50mila euro sul totale: il peso specifico è, infatti, di otto su dieci. Proprio i ricorsi fino a 50mila euro di valore sono quelli, che prima di passare all’esame dei giudici tributari, devono essere sottoposti al filtro del reclamo-mediazione, ossia la proposta di annullamento o di revisione della pretesa impositiva che il contribuente formula all’amministrazione finanziaria controparte. Ma qui c’è il nodo che ha caratterizzato fin dall’istituzione questo istituto deflattivo (che poi con il tempo è stato esteso oltre il perimetro di competenza delle Entrate e nella soglia di valore, che inizialmente era fissata a 20mila euro): la mancanza di un soggetto terzo chiamato a decidere tra ente impositore e contribuente. Un problema chiaro anche all’Esecutivo, tanto che nelle prime bozze della relazione illustrative al Ddl di delega si parlava espressamente di voler superare il reclamo e la mediazione «anche in conseguenza dell’assenza di terzietà che lo contraddistingue». In sostanza, in ogni amministrazione interessata è un ufficio diverso da quello che ha emesso l’atto a dover poi decidere sul reclamo/mediazione proposto dal contribuente. Proprio per cercare di incentivare la deflazione, la riforma del processo tributario della scorsa estate (legge 130/2022) ha previsto che l’accoglimento nel successivo contenzioso delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta, per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio. Inoltre la condanna alle spese può rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione.

Anche in questo caso i numeri possono spiegare quale sia stato l’andamento (almeno fino al 2021) limitatamente alle mediazioni delle Entrate. Secondo quanto riportato dalla Corte dei conti nella relazione sul rendiconto generale dello Stato, la quota di mediazioni che si sono concluse con un diniego dell’Agenzia è passata dal 47% del 2016 al 59% del 2021. Ma più in generale, secondo i giudici contabili, «dopo i primi anni, l’analisi sembra evidenziare che l’azione deflattiva della mediazione si stia ridimensionando, sia in termini assoluti (istanze inviate), quanto in termini di risultati (minori quote di mediazioni raggiunte)».

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