Rientro dei capitali, ancora troppi rischi sui reati
La legge 186/2014 sul rientro dei capitali non esime – più di quanto già non dovesse avvenire con riferimento allo scudo fiscale – dalla valutazione del rischio di contestazioni penali in capo al/ai sottoscrittore/i dell'istanza, ai soggetti con i quali questo/i possano aver avuto rapporti che emergano dalla documentazione oggetto di obbligatoria esibizione e a quelli che in ogni caso abbiano concorso, in qualità di consulenti od intermediari finanziari, italiani o esteri, alla realizzazione di comportamenti che non siano pacificamente riconducibili alle fattispecie di reato per le quali è prevista l'espressa clausola di «non punibilità». L'ampliamento di tale clausola anche ai reati di dichiarazione fraudolenta, di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e al riciclaggio dei proventi di questi stessi reati, oltre che dei reati “minori” di infedele ed omessa dichiarazione nonché di omesso versamento di Iva e ritenute non copre, infatti, un ampio novero di reati, alcuni dei quali espressamente considerati, invece, dal provvedimento di scudo fiscale. Restano così fuori dal perimetro dell'esclusione della punibilità i reati di falso e i reati societari commessi al fine di realizzare la condotta dei reati fiscali ora indicati.
Parimenti a ciò che accadeva con riferimento allo scudo fiscale, rimangono punibili i reati comuni, tra cui l'appropriazione indebita che si presta, nell'ampiezza del novero delle condotte astrattamente punibili, a costruire ipotesi accusatorie che hanno l'effetto di consentire all'agenzia delle Entrate di ricondurre a tassazione gli imponibili che rappresentano il provento della contestata appropriazione. Ragioni di buon senso dovrebbero però condurre ad escludere il raddoppio dei termini per effetto della non punibilità del reato di infedele dichiarazione in ipotesi commesso per gli stessi imponibili.
La non punibilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, per quanto si comprenda l'esigenza di non mandare esente da colpa una condotta di particolare gravità, finirà per paralizzare chi, pur volendo sanare la propria posizione di irregolarità, si trovi a dover palesare il reato commesso da terzi o, quel che è peggio, da sé stesso quale beneficiario economico effettivo o amministratore di fatto del soggetto emittente.
Una meditazione particolare merita poi – come suggerito dall'Unione delle Camere degli avvocati tributaristi nel corso del dibattito istituzionale – la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo 11 del Dlgs 74/2000) che la Cassazione configura come «reato di mero pericolo» e che in fondo altro non è se non quella particolare attività di occultamento dei beni del contribuente posta in essere allo scopo di sottrarsi alla procedura di riscossione. L'effetto perverso della rigorosa interpretazione delle norme seguita dalla Suprema corte (per la quale nemmeno l'annullamento del provvedimento amministrativo da parte del giudice tributario vale ad escludere la sussistenza del reato, Cassazione 36290/2011) potrebbe determinare che alcuni comportamenti di «impiego, sostituzione e trasferimento» con finalità di occultamento escano dalla porta sotto il profilo del reato di riciclaggio ma rientrino dalla finestra agli effetti dell'articolo 11. Per effetto della interpretazione indicata, infatti, il reato ha perso il suo originario carattere di reato preposto a garantire l'effettività della fase di riscossione consentendo l'incriminazione di condotte che in qualche modo prescindono dalla stessa evasione in sé e per sé considerata attenendo piuttosto agli atti di disposizione dei propri beni da parte del contribuente nella consapevolezza dell'evasione commessa sebbene ancora non contestata. E ciò all'unica condizione che si tratti di atti connotati vuoi da simulazione (oggettiva o soggettiva) ovvero anche da generica “fraudolenza”. Qualunque fattispecie di trasferimento verso Paesi che non prestino assistenza allo Stato italiano nella fase dell'esecuzione esattoriale o verso entità giuridiche idonee ad occultare i beni con la finalità di sottrarli ad una futura ed eventuale fase della riscossione, potrebbero pertanto determinare rischi di natura penale in capo al soggetto o ai soggetti che sottoscrivano l'istanza di disclosure e a quelli che abbiano concorso alla realizzazione delle condotte appena descritte.