Contabilità

Rimanenze a valori reali, vantaggi a fisco e imprese con l’addio al metodo «Lifo»

Con un intervento normativo mirato, le rimanenze potrebbero essere esposte nello stato patrimoniale a valori reali, permettendo a chi lo desidera di abbandonare il metodo Lifo, con vantaggi per imprese e fisco

di Franco Roscini Vitali

Con un intervento normativo mirato, le rimanenze potrebbero essere esposte nello stato patrimoniale a valori reali, permettendo a chi lo desidera di abbandonare il metodo Lifo, con vantaggi per imprese e fisco.

Le rimanenze devono essere valutate al costo d’acquisto: tuttavia, il Codice civile consente la valutazione con i metodi alternativi Lifo, Fifo e costo medio.

Per l’articolo 2426 n. 10 del Codice civile il metodo generale per la determinazione del costo dei beni è il costo specifico che presuppone l’individuazione e l’attribuzione alle singole unità fisiche dei costi specificatamente sostenuti per le unità medesime. Tuttavia, la norma di legge prevede che il costo delle rimanenze di magazzino di beni fungibili (beni che presentano le stesse caratteristiche e sono fra loro scambiabili) può essere determinato alternativamente con i metodi Fifo, costo medio ponderato e Lifo.

Pertanto, il costo specifico si applica obbligatoriamente ai beni non fungibili, mentre i beni fungibili possono essere valutati con i metodi alternativi. Inoltre, nel caso di utilizzo dei metodi alternativi, in particolare, Fifo («primo entrato, primo uscito») e Lifo («ultimo entrato, primo uscito»), se il valore ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio la differenza deve essere indicata – per categoria di beni – nella nota integrativa.

Oggi però la valutazione Lifo non risponde più ai moderni principi di redazione del bilancio e, per questo, ci sono imprese che vorrebbero abbandonarla al fine di esporre nello stato patrimoniale le rimanenze a valori più in linea con la reale situazione: ulteriore effetto sarebbe la semplificazione delle procedure di valutazione.

Infatti, le differenze più rilevanti, rispetto alla valutazione a valori correnti, emergono proprio dall’utilizzo del metodo Lifo che immagina usciti (ceduti) per primi i beni acquistati/prodotti per ultimi (più recenti) con l’effetto che le rimanenze sono valorizzate ai prezzi più remoti: questo comporta, generalmente, la sottovalutazione delle stesse e l’obbligo d’indicazione nella nota integrativa di quella che comunemente è definita “riserva (latente) Lifo”.

Il metodo Lifo, ancorché previsto dalle direttive contabili (ma non dagli Ias/Ifrs), è obsoleto tant’è che non molti anni fa ne era stata ipotizzata l’eliminazione dalle direttive, poi accantonata per i problemi fiscali che il passaggio dal Lifo al costo medio avrebbe comportato a causa della tassazione della citata “riserva Lifo” con le normali aliquote d’imposta.

Come accennato, l’evidenza delle rimanenze a valori correnti è già presente nel bilancio: non nello stato patrimoniale, bensì nella nota integrativa, che è parte del bilancio, perché l’articolo 2426 n. 10) impone l’indicazione della differenza, se apprezzabile, con i costi correnti che, generalmente (situazione da verificare caso per caso), dovrebbero corrispondere alla valutazione ai costi medi.

Pertanto, si tratterebbe di fare un semplice “trasloco” della valutazione a costi correnti dalla nota integrativa allo stato patrimoniale: non si tratta di una rivalutazione delle rimanenze, a differenza di quanto avviene ciclicamente per le immobilizzazioni, ma di una più corretta collocazione, nell’ambito del bilancio, della valutazione corrente (senza transito nel conto economico: principio Oic 29).

Tuttavia, in tal caso, c’è l’ostacolo della tassazione di tale differenza perché, a livello normativo, questo problema non è mai stato affrontato (articolo 109, comma 4, Tuir).

Il problema sarebbe superabile prevedendo una tassazione bassa – per esempio al 3% – che renderebbe appetibile, per le imprese, il cambiamento di valutazione. Così il bilancio esprimerebbe valori più vicini alla realtà (anche a vantaggio di eventuali finanziatori, come le banche) ed eliminerebbe le complicazioni contabili del Lifo.

Il vantaggio per il fisco consisterebbe nell’incasso immediato di imposte, che la finzione del Lifo posticipa di fatto all’infinito rendendole latenti.

Per esempio, un’impresa che ha una riserva Lifo di 1 milione di euro potrebbe pagare il 3% (30mila euro) che il fisco incasserebbe subito.

Infine, il principio contabile Oic 13 precisa che la natura delle rimanenze di magazzino e la diversificazione dell’attività dell’impresa possono far ritenere appropriata l’adozione di diversi metodi di determinazione del costo dei diversi elementi presenti in magazzino: questo significa, per esempio, che le materie prime possono essere valutate con il Lifo e i prodotti finiti utilizzando il costo medio.

Pertanto, l’esposizione nello stato patrimoniale delle rimanenze a valori correnti può riguardare, per esempio, soltanto i prodotti finiti.

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