Imposte

Rinuncia ai crediti, non c’è «incasso»

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di Fabrizio Cancelliere e Gabriele Ferlito

La rinuncia al credito per gli interessi maturati sul finanziamento erogato alla partecipata non comporta l’incasso giuridico in capo al socio, ma solo l’incremento del valore della partecipazione detenuta. È quanto affermato su un tema molto attuale dalla Ctr Lombardia con la sentenza 354/14/2018 (presidente e relatore Izzi), in senso contrario alla prassi degli uffici, peraltro confermata da recenti pronunce della Cassazione.

Nel 2009 un fondo nazionale di previdenza rinuncia agli interessi maturati su un finanziamento erogato ad una partecipata e, in via prudenziale, assoggetta a tassazione il relativo reddito sulla base della teoria dell’“incasso giuridico” prevista dalla circolare ministeriale 27 maggio 1994 n. 73. Nel 2012 tuttavia il fondo presenta istanza di rimborso, rilevando che l’istituto dell’incasso giuridico, creato dalla prassi dell’Agenzia, non è previsto da alcuna disposizione normativa e, comunque, si pone in contrasto con i principi generali dell’ordinamento tributario nonché con quelli specifici sulla tassazione dei redditi di capitale.

Il fondo impugna il silenzio-rifiuto dell’amministrazione ed ottiene ragione in appello. La Ctr chiarisce anzitutto quali sono le tesi a fondamento della teoria dell’incasso giuridico. Da un lato, c’è la tesi di carattere antielusivo dell’amministrazione (confermata dalla recente risoluzione 124/E/2017), derivante dalla presunta asimmetria impositiva che si verificherebbe laddove la società partecipata può dedurre per competenza il costo senza subire alcuna tassazione all’atto della successiva remissione del debito (come disposto dal previgente articolo 88 del Tuir) e senza che, al contempo, il socio subisca alcuna imposizione ma anzi veda incrementare il valore fiscale della propria partecipazione. Dall’altro lato, c’è la tesi di alcuna giurisprudenza della Corte di cassazione (viene citata l’ordinanza 1335/2016), per cui la rinuncia sarebbe una manifestazione di disponibilità di ricchezza al pari dell’incasso effettivo, come se il credito entrasse istantaneamente nella disponibilità del socio che ne disporrebbe subito patrimonializzando la società.

Entrambe le tesi vengono però bocciate dalla Ctr, in quanto il dato positivo prevede che la tassazione dei redditi di capitale consegue all’effettiva percezione delle somme, a prescindere da eventuali asimmetrie impositive con il principio di competenza proprio del regime d’impresa e dai conseguenti, eventuali salti d’imposta. Anzi, quanto meno secondo la normativa pro tempore vigente, gli eventuali salti di imposta devono ritenersi tollerati dal legislatore, essendo il risultato della ammissibile combinazione tra tassazione per competenza in capo alla società e tassazione per cassa in capo al socio. Solo nel 2015, infatti, con la modifica dell’articolo 88 del Tuir, si è introdotta una soluzione al possibile salto d’imposta, tassando in capo alla società partecipata la sopravvenienza attiva generata dalla rinuncia al credito per la parte eccedente il suo valore fiscale.

Proprio questa modifica, peraltro, conferma la preferenza del legislatore per la tassazione dell’effettivo arricchimento, che si realizza in capo alla società partecipata a seguito della rinuncia e non in capo al socio che vede solo incrementare il valore della partecipazione (con effettivo, eventuale arricchimento solo al momento della futura cessione).

Ctr Lombardia, sentenza 354/14/2018

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