Imposte

San Marino, criptovalute da non dichiarare tra le attività estere

Una circolare spiega che i bitcoin posseduti dalle persone fisiche non vanno indicati in dichiarazione

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di Dario Aquaro

«Le criptovalute e i bitcoin posseduti all’estero non devono essere dichiarati». La precisazione arriva dal dipartimento Finanze e bilancio di San Marino, che in una circolare chiarisce i termini per la compilazione della Dapef (dichiarazione delle attività patrimoniali, finanziarie e quote societarie possedute all’estero).

La circolare è stata diffusa per spiegare come compilare la dichiarazione relativa al periodo d’imposta 2020, in funzione delle modifiche introdotte dal decreto delegato del 7 dicembre scorso. Decreto che ha eliminato – tra l’altro – l’obbligo di dichiarare «le azioni o quote di società residenti, possedute dal contribuente direttamente o indirettamente per interposta persona, in quanto informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria».

Oggetto della Dapef – che riguarda le persone fisiche residenti fiscalmente nella Repubblica di San Marino – sono dunque tutte le attività patrimoniali, finanziarie e quote societarie possedute all’estero, direttamente e indirettamente, anche per interposta persona, al 31 dicembre di ogni anno, a partire dal periodo d’imposta 2020. Ma tra queste sono esplicitamente escluse «le criptovalute e i bitcoin», anche se «posseduti all’estero».

Un’impostazione diversa da quella del Fisco italiano, che – rifacendosi a quanto affermato dalla Corte di giustizia Ue (causa C-264/14) – in via interpretativa assimila invece le valute virtuali a quelle estere, attribuendo così una rilevanza tributaria (risoluzione 72/E/2016 e interpello 956-39/2018). Ma – è stato sottolineato da più parti – una valuta è “estera” se ha un legame con un territorio: cosa che manca nel caso di bitcoin e i suoi fratelli, che sono per definizione “a-territoriali” (si veda l’articolo).

In Italia il fenomeno delle criptovalute è regolato per legge solo ai fini della disciplina antiriciclaggio (articolo 1, comma 2, lettera qq, del Dlgs 231/2007). Sul fronte puramente fiscale, invece, si fa riferimento ai documenti di prassi e alle interpretazioni delle Entrate.

Chi possiede criptovalute è tenuto a compilare il quadro RW della dichiarazione (si veda l’articolo), indicando in colonna 3 il codice 14 («Altre attività di natura estere e valute virtuali») e omettendo di compilare la colonna 4 («Codice Stato estero»). Ma dal punto di vista della tassazione, il fatto di qualificare le criptovalute come “valute estere” comporta inoltre, per le persone fisiche, l’applicazione degli articoli 67 e 68 del Tuir (su redditi diversi e plusvalenze).

Per cui si genera un reddito diverso quando si cede la valuta virtuale prelevata da portafogli elettronici (wallet) per i quali la giacenza media supera il controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta (si veda l’articolo). Mentre l’eventuale plusvalenza è soggetta all’imposta sostitutiva del 26% e da dichiarare nel quadro RT del modello Redditi (si veda l’articolo).

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