Adempimenti

Criptovalute nel quadro RW senza il codice dello Stato estero

Le istruzioni al modello Redditi: indicazione in colonna 3 con il codice 14 («Altre attività di natura estere e valute virtuali»)

di Serena Mea

Il legislatore fiscale non ha, per ora, ancora predisposto una disciplina per le valute virtuali. Attualmente è dunque rinvenibile solo una definizione nell’ambito della normativa antiriciclaggio ex Dlgs 231/2007 e più precisamente dall’articolo 1 comma 1, lettera qq): «I bitcoin, sono una valuta virtuale ovvero: la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da una autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni i servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente».

L’agenzia delle Entrate ha fornito in proposito alcuni primi chiarimenti nella risoluzione 72/E/2016. In tale documento di prassi si sottolinea che non si può prescindere da quanto affermato sull’argomento dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 22 ottobre 2015, causa C-264/14. Tale pronuncia stabilisce che:

• l’attività di commercializzazione di bitcoin deve essere qualificata quale prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso;

• le prestazioni in esame, pur riguardando operazioni relative a valute non tradizionali, costituiscono operazioni finanziarie in quanto accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento.

L’agenzia delle Entrate, dunque sulla base di quanto affermato dalla Corte di giustizia, assimila le valute virtuali a quelle estere.

Da rilevare che il valore in euro della giacenza media dei bitcoin, o di qualsiasi altra valuta virtuale va calcolata secondo il cambio di riferimento all’inizio del periodo di imposta, ovvero al 1° gennaio di ciascun periodo.

Allo stato attuale, non vige un prezzo ufficiale cui fare riferimento per il rapporto di cambio tra la valuta virtuale e l’euro, per cui è possibile utilizzare il rapporto di cambio al 1° gennaio, rilevato sul sito, dove è stata acquistata la valuta virtuale, ovvero quello rilevato sul sito dove sono state effettuate la maggior parte delle operazioni.

Tale giacenza media, va verificata rispetto all’insieme dei «wallet» (ossia i portafogli virtuali presso i quali si detengono i bitcoin) in possesso dal contribuente, a prescindere dalla tipologia, per i quali la giacenza media superi un controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta.

Quanto poi alla determinazione della plusvalenza, occorre contrappore il controvalore in euro della valuta acquistata al costo di acquisto del bitcoin e considerate cedute per prime le valute acquistate in data più recente (articolo 67, comma 1 -bis, del Tuir).

L’indicazione nel modello Redditi

In capo ai possessori dei bitcoin gravano degli obblighi dichiarativi. Nella risposta ad interpello 956-39/2018 della Dre Lombardia, infatti, è stato affermato che «alle operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali».

Le plusvalenze sono rilevate al momento della vendita delle criptovalute e potrebbe quindi generarsi un reddito diverso di natura finanziaria, tassabile in base ai principi dell’articolo 67 del Tuir, che dovrà essere indicato nel quadro RT del modello Redditi persone fisiche e che risulterebbe così soggetto ad imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento. Inoltre la risoluzione 72/E/2016 conferma che, nel rispetto della circolare 8/E/2013 sul monitoraggio fiscale, anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo del quadro RW.

Poiché alle valute virtuali si rendono applicabili i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali, nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio, i bitcoin non sono soggetti all’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (cosiddetta Ivafe), in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura bancaria (circolare 28/E/2012).

Anche le istruzioni al modello Redditi precisano che le criptovalute debbano essere monitorate nel quadro RW, indicando in colonna 3 il codice 14 («Altre attività di natura estere e valute virtuali») e omettendo di compilare la colonna 4 («Codice Stato estero»).

Criptovalute come strumento di pagamento

La direttiva Ue 2018/843 del Parlamento europeo, quinta direttiva antiriciclaggio, ha riconosciuto ufficialmente le criptovalute come sistema di pagamento, con la previsione però che tutti i fornitori di servizi di portafoglio digitale dovranno applicare controlli sulla propria clientela per evitare l’anonimato associato alle valute virtuali. Il presidente della Consob, Paolo Savona, ha ritenuto che la politica monetaria dovrà tenere conto di questa nuova realtà, come pure dovrà fare la politica fiscale.

Sulla base di quanto finora disponibile, possiamo ritenere che l’uso principale delle criptovalute è l’investimento, ma sussistono ad oggi società e banche che accettano i bitcoin anche come mezzo di pagamento.

Paypal oggi è il primo grande operatore finanziario che ha dichiarato di essere pronto ad accettare pagamenti in valuta virtuale, anche se per il momento l’opzione sarà consentita solo agli utenti americani, per poi in futuro aprirsi ad altri mercati.

Tra i vari Paesi, si segnala che la Cina ha proibito di utilizzare i bitcoin per i loro scambi, al fine di prevenire i rischi di riciclaggio di denaro e d’instabilità finanziaria. Attualmente invece El Salvador è l’unico paese che ha deciso di utilizzare i bitcoin come moneta legale a corso ufficiale, anche se non sono pochi i rischi legati alla sua volatilità.

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