Sempre vessatorio imporre prestazioni aggiuntive gratuite
L’articolo 13-bis introdotto dal Dl fiscale nella legge sull’ordinamento forense disciplina i rapporti professionali regolati da convenzioni predisposte unilateralmente da imprese bancarie e assicurative (è previsto che le norme si applichino anche nei rapporti di lavoro autonomo e che anche la Pa debba garantire l’equo compenso). Ma quando si può ritenere equo il compenso? E quando si devono considerare vessatorie le clausole inserite nel contratto tra professionista e imprese “forti”?
In base al comma 2 dell’articolo 13-bis, il compenso è equo se proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale. E il metro per valutare se sia stata rispettata la proporzione va individuato nel Dm Giustizia (o ministeri vigilanti per le altre professioni) che determina i parametri per la liquidazione dei compensi degli avvocati.
Quanto alle clausole, l’articolo 13-bis dispone che sono vessatorie quelle che «determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato».
Lo stesso articolo 13-bis contiene quindi un elenco di clausole vessatorie di nuovo conio. In linea di massima, alcune riguardano vincoli per l’avvocato, come l’obbligo di anticipare le spese della controversia, rinunciare al rimborso spese o accettare termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla richiesta. Altre sono relative alla facoltà per il cliente di rifiutare la forma scritta degli elementi essenziali dell’accordo, modificare unilateralmente le condizioni o pretendere prestazioni aggiuntive a titolo gratuito.
Queste ultime due clausole sono sempre considerate vessatorie; le altre sfuggono a questa presunzione solo se «siano state oggetto di specifica trattativa e approvazione». Il che – dispone il comma 7 dell’articolo 13-bis – non ricorre se nelle convenzioni si fa generico riferimento a trattative intercorse tra le parti, «senza specifica indicazione delle modalità con le quali le medesime sono state svolte».
Se l’avvocato ritiene che la convenzione vìoli l’articolo 13-bis, può ricorrere al giudice per la pronuncia di nullità di una o più clausole. E se la sentenza accerta «la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola», dichiara nulla quest’ultima e determina il compenso. La nullità opera solo a vantaggio dell’avvocato, mentre il ricorso al giudice è ammesso, a pena di decadenza, entro 24 mesi dalla firma delle convenzioni. Intanto, si tiene oggi a Roma la manifestazione dei professionisti a difesa della norma dopo la posizione critica dell’Antitrust.