Sequestro per dichiarazione infedele
La vendita di immobili mascherata da una cessione di quote sociali che comporta un’evasione di imposta superiore alla soglia penalmente rilevante configura il delitto di dichiarazione infedele: la sequenza di operazioni infatti, non consente di invocare la scriminante dell’abuso del diritto che deve caratterizzarsi per l’assenza di attività simulatorie e fraudolenti.
A fornire questa interpretazione è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 8047 depositata ieri. Nei confronti del presidente e del vice presidente del cda di una società, il Gip disponeva il sequestro per equivalente per il reato di dichiarazione infedele. La società aveva acquistato il 98% di una Sas titolare di un importante compendio immobiliare. Venivano poi ceduti i beni della società partecipata che era poi sciolta generando una cospicua minusvalenza che riduceva la plusvalenza generata dalla cessione degli immobili. L’agenzia contestava, in base al soppresso articolo 37 bis Dpr 600/73, la dissimulazione di una cessione immobiliare e accertava il conseguente maggior reddito disconoscendo la deducibilità della minusvalenza.
Il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare. Gli indagati ricorrevano per Cassazione, lamentando che il sequestro era fondato solo su una presunzione dell’Ufficio e in ogni caso, la minusvalenza era stata realmente realizzata. Al più poteva essere contestata un’operazione elusiva, priva di rilevanza penale.
I giudici di legittimità, confermando la misura cautelare, hanno innanzitutto evidenziato che la presunzione tributaria non costituisce fonte di prova di un reato, ma assume valore valutabile dal giudice e può essere posta a fondamento del sequestro. La Corte ha poi ricordato che è ormai esclusa la rilevanza penale delle condotte di abuso del diritto.
Tuttavia, per giurisprudenza consolidata tale esclusione ha un’applicazione residuale rispetto a comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa, previsti nel Dlgs 74/2000.
Ne consegue che l’abuso è irrilevante quando i fatti integrino fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi. Nella specie, i giudici hanno escluso la sussistenza di un’operazione abusiva in quanto l’Agenzia l’aveva espressamente qualificata come “dissimulatoria”.
La decisione deve far riflettere poiché seguendo tale interpretazione l'irrilevanza penale dei fatti elusivi voluta dal legislatore, rischia di non trovare quasi mai applicazione. Ogni operazione, infatti, censurabile come abusiva, si può tradurre in una simulazione. Nella vicenda poi l’Agenzia aveva contestato l’articolo 37 bis del dpr 600/73 relativo a condotte elusive.
Cassazione, sentenza 8047/2018