Società, distributori di gruppo fuori dalle norme Cfc
Distributori di gruppo a rischio limitato fuori dal campo di applicazione delle norme Cfc. Il principio emerge dal decreto di recepimento della direttiva Atad, che ha introdotto principi di transfer pricing per individuare le Cfc.
In base all’articolo 4, comma 4 lettera b) del Dlgs di recepimento della direttiva (Ue) 2016/1164 (Atad), se il soggetto controllato estero è assoggettato a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbe assoggettato in Italia e oltre un terzo dei proventi realizzati derivano da operazioni intra-gruppo di compravendita di beni (numero 6) o da prestazioni di servizi (numero 7) con valore economico aggiunto scarso o nullo, scattano i presupposti per la tassazione in Italia del reddito della controllata estera.
La norma prevede che ai fini dell’individuazione dei servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo si tiene conto delle indicazioni contenute nel Dm 14/5/2018, ovvero dei principi di Tp.
In particolare, sono considerati servizi a basso valore aggiunto quei servizi che:
a) hanno natura di supporto
b) non sono parte delle attività principali del gruppo multinazionale
c) non richiedono l’uso di beni immateriali unici e di valore, e non contribuiscono alla creazione degli stessi
d) non comportano l’assunzione o il controllo di un rischio significativo da parte del fornitore del servizio né generano in capo al medesimo l’insorgere di un tale rischio. Si noti che la definizione di servizi a basso valore aggiunto del Dm è in linea con le linee guida Ocse sui prezzi di trasferimento (par. 7.44).
A differenza dei servizi, il decreto non definisce le operazioni di compravendita a rischio basso o nullo. La relazione illustrativa precisa che si è ritenuto di non accogliere la richiesta della commissione Finanze della Camera di emanazione di un Dm per individuare tali attività e che la verifica va effettuata sulla base delle medesime condizioni fissate per i servizi a basso valore aggiunto. Queste condizioni non sembrano però adatte alle operazioni di distribuzione. In particolare, i primi due requisiti non sono applicabili in quanto le attività di vendita a clienti terzi di beni acquistati intercompany sono normalmente attività “core” per l’impresa, ovvero non hanno natura di supporto e fanno parte delle attività principali del gruppo multinazionale. Le stesse linee guida Ocse prevedono che le condizioni fissate per i servizi a basso valore aggiunto non sono applicabili alle attività di commercializzazione (par. 7.47).
In definitiva, seguendo le indicazioni della relazione illustrativa, nella generalità dei casi i distributori a rischio limitato non dovrebbero rientrare nel campo di applicazione della normativa Cfc nonostante quanto previsto dall’articolo 4, comma 4, lettera b 6 del decreto. Non è chiaro quindi quali fattispecie dovrebbe colpire la norma nelle intenzioni del legislatore. Si potrebbe ipotizzare che si tratti di operazioni di acquisto e rivendita intercompany o di “procurement” su beni non destinati alla produzione. Infatti se i beni sono destinati alla produzione le operazioni sarebbero escluse dal par. 7.47 dell’Ocse.
In ogni caso rimane applicabile l’esimente che prevede la dimostrazione di un’attività economica effettiva (comma 5).