Società a ristretta base, presunzione da arginare sulla distribuzione degli utili extracontabili
Necessario un limite nelle vicende accertative in cui non emerga nessun ricavo in nero che possa far presumere importi distribuibili ai soci a titolo di utili occulti
L’artificiale presunzione giurisprudenziale di distribuzione ai soci di utili extracontabili accertati in capo a società a ristretta base partecipativa ha la natura di una presunzione semplice. Ad affermarlo, nei propri motivi di ricorso, è la stessa Amministrazione finanziaria che, dopo la conferma in secondo grado dell’annullamento dell'atto di accertamento emesso a carico di uno dei soci di una società di gestione immobiliare a ristretta base societaria (annullamento intervenuto anche per l’accertamento di quest'ultima), ricorreva in Cassazione per la riforma della sentenza di merito. La Corte, con la sentenza n. 8652 del 16 marzo 2022, ha rigettato il ricorso per le motivazioni che di seguito saranno meglio specificate.
La decisione della Cassazione
In particolare, con il primo motivo di impugnazione l’agenzia delle Entrate aveva dedotto che la sentenza pronunciata nella controversia avente ad oggetto l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società non fosse passata in giudicato, in quanto oggetto di impugnazione da parte della stessa. Con il secondo motivo la ricorrente lamentava il fatto che il giudice d’appello avesse sostanzialmente omesso di motivare le ragioni della propria decisione, redigendo una motivazione apparente. Sul terzo motivo di doglianza ci soffermeremo a breve, mentre gioverà rilevare che la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso considerando assorbente il venir meno dell’avviso di accertamento relativo alla società, con il conseguente travolgimento anche degli atti emessi nei confronti dei soci.
I giudici di legittimità hanno ben evidenziato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la validità dell’avviso in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa, costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati. Ne consegue che l’annullamento dell’atto notificato alla società con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari da parte del singolo socio.
Non assume, invece, carattere pregiudicante l’ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (come nel caso dell’inesistenza della notifica e per errata intestazione dell’avviso) che danno luogo ad un giudicato formale e non sostanziale, venendo a mancare una pronuncia che revochi in dubbio l’accertamento sulla pretesa erariale (Cass. n. 752 del 19 gennaio 2021). Nel caso di specie, il giudicato assumeva carattere pregiudicante, attenendo proprio al merito della pretesa tributaria. Tanto è bastato per assorbire anche gli altri motivi di ricorso.
Il terzo motivo di ricorso
La parte interessante della sentenza non è però tanto la motivazione in sé (alquanto pacifica) quanto, piuttosto, alcuni passaggi riguardanti il terzo motivo di ricorso invocato dall’Amministrazione finanziaria e la ricostruzione dei fatti di causa operata dalla Corte.
Nel dettaglio, quanto al terzo motivo di ricorso, l’agenzia delle Entrate eccepiva la «violazione e falsa applicazione degli articoli 38 e 39 , primo comma, lettera d), del Dpr 600 del 1973 e dell’articolo 2697 del Codice civile, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, del Codice di procedura civile», alla luce della circostanza secondo la quale “una volta accertati utili extrabilancio, la ristretta base azionaria, costituisce presunzione semplice idonea, anche di per sé sola, a far ritenere l’attribuzione pro quota ai soci”. Quest’ultima precisazione non è riportata in sentenza con il virgolettato, per cui non si comprende se sia riferibile a quanto scritto nel ricorso per cassazione dall’Amministrazione finanziaria o se, invece, sia frutto di una sintesi effettuata dai giudici.
In un caso o nell’altro, si tratta - nella “peggiore” delle ipotesi - di un evidente salto approssimativo nel terreno delle presunzioni e dell’onere della prova, posto che (come dovrebbe essere noto) le presunzioni semplici per poter essere apprezzate dal giudice devono essere gravi, precise e concordanti (articolo 2729 del Codice civile). Pertanto, ove la “ristretta base azionaria” costituisca una presunzione semplice, come peraltro la migliore dottrina va da tempo affermando, non sarebbe affatto “di per sé sola” sufficiente a rappresentare il fatto noto e nessuna inversione dell’onere probatorio in capo al contribuente potrebbe essere mai ammessa, come forzatamente la Cassazione, nella propria officina nomopoietica, ha invece di fatto sancito.
Una presunzione che, come correttamente osservato, sta assumendo confini sempre più ampi, dilatando pericolosamente la propria portata originaria. Infatti, le si è attribuita d’imperio, da parte della Cassazione (e a seguire dagli Uffici), natura legale relativa sino a tendere, di fatto, in maniera asintotica sempre più nella direzione di una presunzione assoluta. Probabile si tratti di un gradito refuso, ma pur sempre di un refuso dal punto di vista sia dell’agenzia delle Entrate che dei giudici di legittimità.
Certamente rimane il dubbio (illusorio) che possa effettivamente trattarsi di un revirement interpretativo, sarebbe eccessivo definirlo pentimento, del Fisco o della Cassazione. Ad ogni modo, nonostante nella sentenza in commento i giudici di legittimità non si siano pronunciati in maniera specifica sulla ripartizione dell’onere probatorio, è interessante soffermarsi, come anticipato, su un passaggio riportato nella descrizione dei fatti di causa. Invero, la Corte, ripercorrendo sinteticamente le motivazioni della sentenza di merito relativa all’accertamento in capo al socio, riporta che l’annullamento è stato disposto dai giudici di appello “tenendo conto anche delle altre censure riguardanti l’onere della prova circa l’effettiva dimostrazione della distribuzione degli utili e dell’anno di riferimento”. Si ha la sensazione che, correttamente, la Ctr abbia fondato il proprio convincimento anche sull’assenza di elementi di conferma della presunta distribuzione degli utili quali indispensabili riscontri di validazione del percorso inferenziale: un aspetto valorizzato anche da isolate pronunce di legittimità (cfr. Cassazione n. 3254/2000 e n. 14046/2009).
Le prospettive
In conclusione, senza voler riporre eccessive aspettative sulle richiamate “infiltrazioni” rispetto alla ormai granitica presunzione giurisprudenziale, risulta sempre più evidente la necessità di arginare la dilagante tendenza a far intervenire la distribuzione degli utili extracontabili anche rispetto a vicende accertative in cui non emerga nessun ricavo in nero che possa far presumere importi distribuibili ai soci a titolo di utili occulti, come, ad esempio, nel caso dei costi effettivamente sostenuti, ma ritenuti poi indeducibili in sede di accertamento (ex multis, Cassazione n. 2224/2021). È di assoluta evidenza che si tratta di ipotesi in cui vi è un accrescimento del reddito esclusivamente dal punto di vista tributario, ovvero della capacità contributiva della società.
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