Controlli e liti

Sponsorizzazioni deducibili a prescindere dai riflessi sui ricavi

Per l’ordinanza 6386/2022 della Cassazione a differenza delle spese pubblicitarie il ritorno può essere solo di immagine

di Laura Ambrosi

Per la deducibilità delle spese di sponsorizzazione non è necessaria la diretta aspettativa dell’incremento dei ricavi, poiché si tratta di oneri finalizzati a diffondere l’immagine e il prestigio dell’impresa. Lo afferma la Cassazione (ordinanza 6386/2022).

Una società impugnava un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia recuperava costi indeducibili per difetto di inerenza. Tra i rilievi, c’erano alcune spese di sponsorizzazione effettuate in favore di squadre di calcio, che secondo l’Ufficio non erano inerenti perché indirizzate a un pubblico estraneo all’attività della contribuente.

Sul punto entrambi i giudici di merito ritenevano fondate le ragioni della società e l’Agenzia proponeva ricorso in Cassazione, ribadendo che mancavano prove sulla correlazione tra l’oggetto sociale e la sponsorizzazione delle squadre di calcio.

La Suprema Corte ha ritenuto infondata la tesi erariale.

Il criterio selettivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti. Le spese di sponsorizzazione sono correlate a iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa e a potenziarne le possibilità di sviluppo, senza alcuna aspettativa di incremento dei ricavi, se non in via mediata ed indiretta attraverso l’aumento di notorietà.

Le spese pubblicitarie o di propaganda, invece, sono per la realizzazione di iniziative volte alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. Hanno una finalità diretta a promuovere prodotti e servizi commercializzati, esaltandone le caratteristiche.

La Cassazione ha evidenziato che l’Agenzia, aveva confuso le une dalle altre, ritenendo gli spettatori degli eventi sportivi, estranei all’attività svolta e che quindi non potevano contribuire a incrementare i ricavi.

L’obiettivo, anche strategico, dello sponsor, infatti, è rappresentato dalla diffusione della propria immagine commerciale e del prestigio del marchio, a prescindere dalla aspettativa dell’incremento dei ricavi.

La decisione riguarda una frequente contestazione degli uffici secondo la quale, un’azienda commerciale o di servizi non ha interesse a promuovere il proprio nome in partite di calcio o di basket, poiché il pubblico di tali eventi, quali «famiglie e privati consumatori» sarebbe disinteressato ai prodotti/servizi commercializzati.

Fermo restando che difficilmente può individuarsi con precisione la composizione del pubblico di simili eventi, va rilevato che alla luce dei principi della Cassazione, gli uffici dovrebbero forse rivedere le proprie posizioni.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©