Controlli e liti

Stop dalla Cassazione agli studi di settore «fai-da-te»

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di Laura Ambrosi

È illegittimo l’accertamento fondato su elaborazioni statistiche svolte a livello locale dall’Ufficio se la differenza rispetto al dichiarato non è abnorme e irragionevole. A precisarlo è la Corte di cassazione con l’ ordinanza 13054 depositata ieri che pare così escludere la valenza probatoria dei cosiddetti “studi fai da te”.

L’agenzia delle Entrate rettificava i ricavi dichiarati da un contribuente presupponendo una diversa percentuale di ricarico. Più precisamente, l’Ufficio aveva determinato una media del settore merceologico di appartenenza in ambito territoriale e, avendo riscontrato valori inferiori dichiarati dall’impresa, rettificava i redditi.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario rilevando che per l’anno accertato erano già in vigore gli studi di settore e pertanto la determinazione induttiva del ricarico effettuata dall’Ufficio, solo in ambito territoriale, non era di per sé sufficiente a fondare la pretesa. Entrambi i gradi di merito confermavano la legittimità dell’atto e così la contribuente ricorreva in Corte di cassazione.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato che in tema di accertamento delle imposte e in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, una percentuale di ricarico autonomamente decisa dall’Ufficio in ambito territoriale, può fondare la determinazione di maggiori ricavi solo se raggiunga livelli di abnormità tali da privare la documentazione contabile stessa di ogni attendibilità.

Diversamente, la difformità di ricarico costituisce un mero indizio non idoneo da solo a integrare una prova per presunzioni. Nella specie, lo scostamento non evidenziava tale abnormità con la conseguenza che occorrevano altri elementi a supporto che il giudice avrebbe dovuto riscontrare.

La decisione appare particolarmente importante poiché è tra le prime pronunce di legittimità a bocciare i cosiddetti “studi fai da te”. Negli anni passati, infatti, alcuni uffici avevano fondato vari accertamenti solo sull’elaborazione di dati delle dichiarazioni di alcune categorie di imprese operanti in un determinato settore. Dall’esame di tali elaborazioni era rilevato l’indice di redditività medio (rapporto tra reddito e ricavi) e per tutte le imprese che avevano conseguito valori inferiori, l’Agenzia procedeva alla rettifica.

La circostanza singolare era rappresentata dal fatto che la contestazione prescindeva dall’eventuale congruità agli studi di settore, con la conseguenza che lo strumento statistico previsto per legge (parametri o studi), nonostante fosse di gran lunga più sofisticato e approfondito, veniva di fatto ritenuto meno attendibile di un’elaborazione svolta a livello locale. Le prime pronunce di merito hanno confermato l’illegittimità di tali provvedimenti sia perché ritenuti privi di prova, sia perché basandosi su medie statistiche dovevano essere preceduti dal contraddittorio.

La Suprema corte, sul punto, ha ritenuto che le elaborazioni degli Uffici a livello locale non possono comunque fondare la pretesa in assenza di altri elementi, soprattutto se la differenza rispetto al dichiarato non sia così abnorme e irragionevole. La decisione non affronta espressamente la validità degli studi di settore rispetto a tali elaborazioni, ma è verosimile, oltre che di buon senso, che in assenza di ulteriori prove a supporto, essi dovrebbero avere maggior rilievo e attendibilità.

Cassazione, ordinanza 13054/2017

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