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Stp con reddito d’impresa per il Fisco ma solo una norma può fugare ogni dubbio

La risposta a interpello 600 ribadisce la linea delle Entrate. Ma la Cassazione ha fornito un’interpretazione diversa

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di Giorgio Gavelli e Fabio Giommoni

Con la risposta ad interpello n. 600/2021 l’agenzia delle Entrate ha ribadito l’ormai consolidata interpretazione ministeriale secondo la quale le società tra professionisti realizzano reddito di impresa e non reddito di lavoro autonomo, confermando, di conseguenza, che le stesse possono godere dei crediti d’imposta riservati alle imprese a fronte della realizzazione di investimenti, come, ad esempio, il credito «Industria 4.0» (articolo 1, commi 189 e 190, della legge di Bilancio 2020 e articolo 1, commi 1057 e 1058 della legge di Bilancio 2021) e il credito d’imposta per gli investimenti effettuati nel Mezzogiorno, di cui all’articolo 1, commi 98 seguenti della Legge di stabilità 2016 (si veda l’articolo).

L’attività in forma societaria
Come è noto, la possibilità per i professionisti di svolgere la propria attività in forma societaria è stata introdotta con l’art. 10, comma 3, della Legge n. 183 del 2011 il quale consente “la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile”, ossia società di persone, società di capitali e cooperative.

Il comma 4 del citato art. 10 stabilisce che possono assumere la qualifica di società tra professionisti (di seguito Stp) le società il cui atto costitutivo preveda, fra l’altro, l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci e l’ammissione, in qualità di soci, dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, ovvero di soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento, sempreché il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale degli stessi sia tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Con il Decreto Ministeriale 8 febbraio 2013, n. 34, adottato dal Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico, è stato emanato il regolamento di attuazione della disciplina delle Stp il quale prevede, tra l’altro, che:

la società tra professionisti è iscritta, con funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia nella sezione speciale del Registro delle imprese istituito ai sensi dell’art. 16, comma 2 del D.lgs. n. 96 del 2001 (art. 7) e in una sezione speciale degli albi o dei registri tenuti presso l’ordine o il collegio professionale di appartenenza dei soci professionisti (art. 8, comma 1);

ferma la responsabilità disciplinare del socio professionista, che è soggetto alle regole deontologiche dell’ordine o collegio al quale è iscritto, la società professionale risponde disciplinarmente delle violazioni delle norme deontologiche dell’ordine al quale risulti iscritta (art. 12, comma 1).

La disciplina delle Stp prevede, dunque, l’esercizio, in forma collettiva, delle attività professionali attraverso le forme delle società commerciali di capitali e di persone previste dal Codice Civile (comprese le società semplici) e ciò ha fatto insorgere una questione (non certo banale) circa il relativo trattamento tributario in quanto nel sistema del Tuir, come è noto, le attività commerciali sono soggette alla disciplina del reddito di impresa (determinato, in via ordinaria, sulla base del principio della competenza economica), mentre quelle professionali sono soggette alla disciplina del reddito di lavoro autonomo (tassato secondo il criterio di cassa).

In merito a detta questione tributaria nella risposta ad interpello n. 600/2021 l’Agenzia delle entrate osserva che, in base alla relativa disciplina giuridica, risulta che le Stp possono essere costituite ricorrendo sia ai tipi societari delle società di persone che a quelli delle società di capitali ovvero anche al tipo della società cooperativa. Dette società professionali non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche disciplinate dai titoli V e VI del libro V del codice civile e, pertanto, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto, salve le deroghe e le integrazioni previste dalla disciplina speciale contenuta nella Legge n.183 del 2011 e nel regolamento attuativo.

La qualificazione del reddito prodotto dalle Stp
Ne consegue che, secondo l’Agenzia, anche per le Stp trovano conferma le previsioni di cui agli articoli 6, ultimo comma, e 81 del Tuir, per effetto delle quali il reddito complessivo delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito di impresa.

Dunque per l’Agenzia, ai fini della qualificazione del reddito prodotto dalle Stp, non assume alcuna rilevanza l’esercizio dell’attività professionale, risultando a tal fine determinante il fatto di operare in una veste giuridica di società “commerciale”.
Come detto, queste conclusioni si pongono nell’ambito di un consolidato orientamento interpretativo sostenuto dall’Agenzia delle entrate a partire dalla risposta ad interpello n. 954-93/2014 (non oggetto di pubblicazione), dopo un periodo di incertezza che era scaturito a seguito della Risoluzione n. 18/E/2003 (in merito alle società tra avvocati di cui al Dlgs n. 96/2001, il cui reddito veniva qualificato come di lavoro autonomo).

In particolare, con la predetta risposta ad interpello n. 954-93/2014 dell’8 maggio 2014 la Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle entrate ha affrontato il caso di una Stp costituita in forma di società a responsabilità limitata per svolgere le attività di dottore commercialista, esperto contabile, revisore legale e consulente del lavoro, affermando che a detta società si rendono applicabili gli artt. 6, ultimo comma, e 81 del Tuir in quanto risulta “determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria”, mentre non assume “alcuna rilevanza” l’esercizio dell’attività professionale.

Ne deriva la qualificazione del reddito come di impresa e la conseguente applicazione del principio di competenza (in luogo di quello di cassa, previsto per le attività professionali), nonché il non assoggettamento alla ritenuta d’acconto di cui all’art. 25, Dpr n. 600/1973 dei compensi relativi alle prestazioni rese. Anche ai fini Irap, secondo detto interpello, il valore della produzione va determinato sulla base delle disposizioni che regolano gli imprenditori commerciali (artt. 5 e 5-bis del Dlgs n. 446/1997) in luogo di quella che attiene ai lavoratori autonomi (art. 8).

Con la successiva consulenza giuridica n. 954-55 del 16 ottobre 2014 (sempre non pubblicata), l’Agenzia delle entrate, sottolineando che le società tra professionisti sono soggette alla disciplina giuridica delle società c.d. “commerciali”, salvo le deroghe e le integrazioni previste dalla normativa speciale, ha ribadito che per dette società trovano conferma le previsioni di cui agli artt. 6, ultimo comma, e 81 del Tuir, in base alle quali i relativi redditi sono sempre qualificati come di impresa, non rilevando invece l’esercizio dell’attività professionale.
Ma è con la Risoluzione n. 35/E/2018, che l’Agenzia delle entrate, trattando il caso delle società tra avvocati, afferma per la prima volta in via ufficiale che le società tra professionisti costituite sotto forma di società commerciali, in assenza di una esplicita norma, realizzano redditi di impresa, in quanto risulta determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale.

Detto orientamento è stato riconfermato in merito alle Stp dalle risposte ad interpello n. 107/2018 e n. 128/2018, nonché dalla Nota n. 43619/2017 del Dipartimento delle Finanze.

In particolare, nella risposta a interpello n. 128 del 27 dicembre 2018 l’Agenzia ha ulteriormente ribadito che “sul piano fiscale, le società tra professionisti, costituite per l’esercizio di attività professionali per le quali è prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico, producono reddito d’impresa in quanto non costituiscono un genere autonomo, appartenendo alle società tipiche disciplinate dal codice civile e, conseguentemente, sono soggette alla disciplina legale del modello societario prescelto, salvo deroghe o integrazioni espressamente previste”.

L’orientamento della Cassazione
La questione sulla qualificazione fiscale del reddito delle società tra professionisti pare tutt’altro che risolta, in quanto nel frattempo è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7447/2021 depositata il 17 marzo 2021 che ha, invece, qualificato il reddito fiscale delle Stp come di lavoro autonomo (con conseguente applicazione della ritenuta d’acconto da parte del committente sostituto d’imposta).

Nell’affrontare la questione la Cassazione ha evidenziato i termini del problema, sottolineando che in un’ottica puramente “soggettiva”, siccome le società tra professionisti possono essere costituite secondo i modelli regolati dai Titoli V e VI del Libro V del codice civile, dunque, anche nella forma delle società commerciali, il loro reddito, ai fini delle imposte relative, dovrebbe essere qualificato come di impresa.

Ciò tenuto conto che, ai fini fiscali, le società in nome collettivo e in accomandita semplice (art. 6, comma 3, del Tuir) generano redditi di impresa a prescindere dalla fonte reddituale e dall’oggetto sociale, così come il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 73 del Tuir è sempre considerato reddito di impresa (art. 81, comma 1, del medesimo Tuir) e determinato secondo le rispettive disposizioni.

Invece, sul piano “oggettivo”, il medesimo reddito andrebbe più correttamente qualificato come da lavoro autonomo, dato che, ai sensi dell’art. 10, comma 3, della L. n. 183/2011, le società tra professionisti sono espressamente costituite per l’esercizio di attività professionali regolamentate all’interno del sistema ordinistico e la qualifica di società tra professionisti può essere assunta unicamente da quelle il cui atto costitutivo preveda l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci. Tale attività, ai sensi di quanto disposto dall’art. 53 del Tuir, genera redditi di lavoro autonomo.

La Cassazione ripercorre tutti i vari pronunciamenti di prassi dell’Agenzia delle entrate che si sono succeduti nel tempo, rilevando tuttavia che questi hanno affermato posizioni “(quantomeno) ondivaghe”, almeno inizialmente, anche se alla fine ne esce un’interpretazione ministeriale secondo la quale le società tra professionisti ai fini fiscali producono reddito di impresa (eccetto quelle costituite nella forma di società semplice), benché, osserva la Cassazione, “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da esse alcun vincolo neanche per la stessa Amministrazione finanziaria che le ha emanate” (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 30.9.2009 n. 20819).

Diversamente, secondo la Suprema Corte, in assenza di una previsione specifica nella disciplina di secondo grado (quella fiscale), torna ad avere applicazione diretta quella civilistica (ovvero, di primo grado), rappresentata, nel caso di specie, dall’art. 2238 c.c., il quale in linea generale nega la natura commerciale delle attività dei professionisti intellettuali e degli artisti, stabilendo però, nel contempo, che a tali attività intellettuali e artistiche si applichino le disposizioni dettate in relazione all’impresa commerciale, allorché le prestazioni professionali costituiscono elemento di una attività organizzata in forma d’impresa.

In sostanza, secondo la Cassazione, quando l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa, ovvero quando prevalga il carattere dell’organizzazione del lavoro altrui e del capitale sulla prestazione di lavoro intellettuale, il professionista acquista la qualità di imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c., con conseguente applicabilità della relativa disciplina fiscale.

Invece, in assenza di una attività diversa e ulteriore rispetto a quella professionale, suscettibile di integrare l’organizzazione di impresa, l’attività tipica svolta dal professionista intellettuale, anche in forma societaria, rimane circoscritta alla disciplina fiscale del lavoro autonomo.

Tale conclusione sarebbe confermata, secondo la Cassazione, dalla normativa sull’Irap dato che proprio l’elemento dell’organizzazione è il medesimo che consente di qualificare come produttive di reddito d’impresa le prestazioni di servizi, visto che ai sensi dell’art. 2 del Dlgs. n. 446/1997 l’applicabilità dell’Imposta regionale sulle attività produttive presuppone l’esercizio abituale di un’attività “autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.

In tale ambito la sentenza della Corte Costituzionale 21 maggio 2001 n. 156, ha confermato che l’Irap si applica all’attività di lavoro autonomo tipica dei professionisti soltanto qualora sia verificato che questa venga svolta in presenza di una autonoma organizzazione.

Viceversa, detta verifica non è necessaria per l’attività “tout court” di impresa, visto che l’elemento dell’organizzazione ha carattere costitutivo delle nozioni di imprenditore e di azienda, poiché l’art. 2082 c.c. definisce l’imprenditore come colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi e l’art. 2555 c.c. definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.

In conclusione, secondo la sentenza n. 7447/2021, ai fini della qualificazione del reddito fiscale delle società tra professionisti occorrerebbe svolgere la medesima verifica richiesta per il riconoscimento della debenza dell’Irap da parte dei liberi professionisti, ovvero sarebbe necessario verificare, caso per caso, l’esistenza di una autonoma organizzazione imprenditoriale, rispetto all’esercizio di una professione intellettuale, che qualificherebbe l’attività svolta dal professionista come di impresa, con conseguente attrazione del reddito nel regime di quello di impresa.

Nel caso, invece, di una attività professionale svolta in assenza di “elementi di organizzazione”, il reddito rimarrebbe fiscalmente qualificato come di lavoro autonomo.

Anche ai fini dell’applicazione della ritenuta di acconto alle società tra professionisti, secondo la sentenza in commento, la qualificazione come reddito di impresa, del reddito dalle stesse prodotte, presuppone che le prestazioni di lavoro autonomo costituiscano elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa, risultando, così, inserite in strutture che sono frutto dell’impiego del capitale, ovvero che il lavoro del professionista ed il capitale concorrano entrambi nella produzione del reddito, sicché quest’ultimo non potrà ritenersi derivante dal solo lavoro, ma dall’intera struttura imprenditoriale.

Le conclusioni a cui perviene la Cassazione nella sentenza n. 7447/2021 non appaiono convincenti dal punto di vista giuridico in quanto non tengono conto della “presunzione assoluta” prevista a livello di normativa fiscale, peraltro ricordata nella sentenza stessa, secondo la quale, a norma degli artt. 6 e 81 del Tuir, i redditi delle società commerciali sono sempre considerati rientranti nella disciplina del reddito di impresa, indipendentemente dalle attività da esse svolta.
Non occorre pertanto, ai fini della qualificazione del reddito delle società commerciali come di impresa, effettuare alcuna indagine sull’attività effettivamente svolta dalla società in quanto la predetta presunzione risolve ogni possibile questione circa la qualificazione di detta attività.

Ciò comporta che non vi sia alcuna “dipendenza” tra la nozione di attività di impresa contenuta nel Codice Civile, a cui fa riferimento la Cassazione, e la tassazione dei redditi delle società di capitali (nonché delle società di persone non semplici) quale reddito di impresa, cosicché può ben verificarsi nella pratica il caso della società costituita sotto forma di società commerciale che tuttavia, non svolgendo alcuna attività di impresa (ad esempio perché esercita una mera attività di godimento di beni), non si configura come imprenditore commerciale, con tutte le relative conseguenze (ad esempio in ambito fallimentare), ma i relativi redditi rientrano in ogni caso, ai fini fiscali, nell’ambito della disciplina dei redditi di impresa.

Le conclusioni della Cassazioni risultano sindacabili anche sulla base di considerazioni di ordine operativo, in quanto introdurrebbero una significativa fonte di incertezza sul piano fiscale per le società tra professionisti, del tutto analoga a quella già presente in materia di assoggettamento ad Irap dei lavoratori autonomi, perché presupporrebbero la (complessa) verifica, caso per caso, dell’esistenza di una organizzazione di impresa per determinare se il reddito della Stp è da qualificarsi come di lavoro autonomo o di impresa.

Stante il descritto contrasto interpretativo tra la prassi ministeriale e la giurisprudenza di legittimità, risulta sempre più urgente un intervento normativo rivolto a ribadire, una volta per tutte, la natura del reddito fiscale delle società tra professionisti, che prescinda dalla verifica in concreto dell’eventuale autonoma organizzazione di impresa della società rispetto all’attività intellettuale svolta dai soci, ma che si basi, in termini assoluti, soltanto sull’elemento soggettivo rappresentato dalla natura della società, oppure su quello oggettivo dell’attività professionale svolta (di natura professionale).

Le incertezze, come ben evidenziato dalla stessa Cassazione nella citata sentenza, nascono proprio dall’assenza di una espressa previsione normativa che qualifichi la natura, ai fini fiscali, del reddito prodotto dalle società tra professionisti, il che rende necessaria un’attività ermeneutica che, tuttavia, conduce inevitabilmente ad esiti diametralmente opposti, a seconda che si scelga di privilegiare il presupposto soggettivo, ovvero la natura del soggetto che produce il reddito, piuttosto che quello oggettivo, che ha riguardo, invece, ai caratteri dell’attività svolta da tali società.


Questo articolo fa parte del nuovo Modulo24 Tuir del Gruppo 24 Ore.
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