Controlli e liti

Studi di settore, l'inerzia del contribuente dà valore all'accertamento

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di Chiara Vanni (studente 19° Master tributario del Sole 24 Ore)


Contraddittorio obbligatorio e inversione dell'onere della prova in caso di inerzia del contribuente nell'ambito dell'accertamento basato sugli studi di settore: è quanto emerge dalla sentenza del 30/05/2014 n. 12151, con cui la Corte di cassazione conferma il proprio indirizzo sulla questione.
La Corte accoglie il ricorso proposto dall'agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Ctr di Roma del 25 giugno 2007 che, confermando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato l'illegittimità dell'avviso d'accertamento emesso, in quanto basato esclusivamente sugli esiti degli studi di settore.
La Cassazione coglie l'occasione per ribadire che gli studi di settore costituiscono un'elaborazione statistica il cui frutto non può che essere costituito da una presunzione semplice. La conseguenza è che gli stessi non sono sufficienti, da sé soli, ad integrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza posti a base di un accertamento analitico-induttivo: in quest'ottica risulta determinante l'instaurazione del contraddittorio con il contribuente, quale momento indefettibile per l'acquisizione degli ulteriori elementi a suffragio dello scostamento individuato. La decisione degli ermellini è però orientata dall'inversione dell'onere della prova nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all'invito al contraddittorio: in tal caso l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli standards ed è onere del contribuente dare prova contraria a tale presunzione, non più rientrante nell'alveo delle presunzioni semplici ma in quello delle legali relative.
Viene così confermato l'orientamento espresso dalle sezioni unite con sentenza n. 26635 del 18/12/2009, secondo cui è onere dell'agenzia delle Entrate dimostrare l'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto d'accertamento tramite l'instaurazione del contraddittorio quale mezzo più efficace per consentire il necessario adeguamento della stima alla concreta realtà reddituale del soggetto, che dovrà essere attivato obbligatoriamente a pena di nullità dell'avviso. Spetta, invece, al contribuente la prova della sussistenza delle condizioni che giustifichino l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli studi o della specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo cui l'accertamento si riferisce.
La mancata risposta all'invito da parte del contribuente non impedisce allo stesso di sollevare qualsiasi tipo di eccezione nella fase processuale ma crea due ordini di conseguenze:
•da un lato, tale comportamento costituisce elemento di valutazione del giudice all'interno del quadro probatorio;
•dall'altro consente all'agenzia delle Entrate di fondare il proprio atto accertativo esclusivamente sullo scostamento del reddito dichiarato da quello risultante dall'applicazione degli studi di settore, dando conto della impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito.
In questo caso gli studi di settore vanno quindi ad assumere la natura di presunzioni legali relative stabilite a favore dell'Ufficio e, in quanto tali, a norma dell'articolo 2728 Codice civile dispensano lo stesso da qualunque ulteriore prova. La difesa del contribuente non si potrà quindi fondare sulla mancanza di ulteriori elementi atti a corroborare la gravità, precisione e concordanza della presunzione quanto piuttosto, laddove ve ne sia lo spazio, sul merito dello scostamento individuato dall'Ufficio.
In tale contesto, come già espresso dalla Cassazione con ordinanza n. 13558 del 20 giugno 2010, gli elementi addotti dal contribuente devono essere specifici e concreti, senza fare riferimento a generiche argomentazioni prive di qualunque concreta indicazione. Potrà quindi esser fatto riferimento a prove documentali certe che avvalorino l'ammontare del volume d'affari dichiarato o anche all'utilizzo di un ragionamento presuntivo che, basato su elementi certi, conduca, attraverso un'argomentazione logica, a valutazioni diverse rispetto a quelle derivanti dall'applicazione degli studi di settore. La difesa potrebbe altresì basarsi su "fatti notori" rientranti nella comune esperienza. Questi, in forza dell'articolo 115 del codice di procedura civile, possono costituire il fondamento della decisione del giudice, senza bisogno di ulteriore prova: tale facoltà, che costituirebbe una deroga all'esigenza di dar prova di ogni fatto preso in considerazione nel processo tributario, sembra già confermata da alcune sentenze di primo grado (si vedano, a tal proposito, la sentenza n. 440 della Ctp di Roma del 18 dicembre 2008 e la sentenza n. 51 della Ctp di Rieti del 6 febbraio 2009).

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