Studio in quarantena, condizioni certe per far scattare la sospensione degli adempimenti
Sarà necessario intervenire con una norma specifica per ricucire lo strappo con i contribuenti e i professionisti, dopo che l’agenzia delle Entrate ha ritenuto che la chiusura dello studio professionale per quarantena non possa configurare causa di forza maggiore per la sospensione degli adempimenti fiscali e contributivi. Tale interpretazione è stata fornita con la risposta del 23 novembre all’Istituto nazionale dei tributaristi e, non a caso, ha creato un certo disorientamento tra i professionisti che rincorrono quotidianamente le diverse scadenze fiscali e contributive.
Secondo l’Amministrazione, infatti, nonostante la chiusura dello studio per quarantena, «il responsabile degli adempimenti tributari e fiscali resta in ogni caso il contribuente/cliente cui gli stessi si riferiscono», estraneo al provvedimento sanitario che colpisce il titolare o i suoi collaboratori. Il contribuente rimane pertanto sanzionabile, poiché non può invocare direttamente l’esimente di cui all’articolo 6, comma 5, del Dlgs 472/1997, secondo cui: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore».
La realtà, però, è incompatibile con questa interpretazione. Le Entrate, infatti, non considerano che il contribuente delega preventivamente l’intermediario all’assolvimento, per esempio, dei vari obblighi ai fini Iva e delle imposte sui redditi. Se, quindi, il delegato è sottoposto a un provvedimento sanitario restrittivo, il contribuente non ha modo di porsi al riparo dalla condotta omissiva. Seguendo l’orientamento della Cassazione penale nella risposta dell’Agenzia, questo è esattamente il caso in cui la condotta antigiuridica del contribuente è dovuta all’assoluta e incolpevole impossibilità di evitare l’inadempimento, per fatti a lui non imputabili. In altri termini: è dovuta a forza maggiore.
Tuttavia, per disinnescare le sanzioni, l’Agenzia propone una soluzione alquanto singolare, che è condensata nelle ultime quattro righe della risposta, in cui si chiede agli stessi contribuenti di porre in essere gli adempimenti delegati allo studio professionale in quarantena. Ma l’Amministrazione non tiene conto del fatto che, probabilmente, il contribuente necessitava dell’intervento del professionista, proprio perché non era in grado di farvi fronte personalmente.
Anche nel caso in cui si ritenga che il contribuente possa delegare un altro intermediario, la soluzione sarebbe ugualmente impraticabile, dal momento che sarebbe impedito l’accesso allo studio precedentemente incaricato per il passaggio delle consegne (si pensi per esempio al trasferimento della contabilità per quanto riguarda la sola liquidazione periodica Iva).
Inoltre, è altrettanto discutibile l’equiparazione della chiusura dello studio per quarantena a una circostanza da valutarsi caso per caso. I principi di legalità e certezza del diritto renderebbero preferibile l’individuazione (magari già in sede di conversione del Dl Ristori) di oggettive e documentate condizioni, al ricorrere delle quali operi di diritto la sospensione per un determinato periodo di tempo, senza lasciare spazio a valutazioni discrezionali sull’applicabilità o meno delle sanzioni tributarie.
In definitiva, rimane la sensazione che l’Agenzia abbia perso l’occasione per venire incontro a contribuenti e professionisti, con buona pace della collaborazione tanto auspicata da più parti.