Sui bond convertibili il test dello scorporo tra prestito e derivato
La nuova disciplina del bilancio d’esercizio (Dlgs 139/2015) impone lo scorporo dei derivati incorporati in altri contratti (cosiddetti ibridi), in analogia con quanto previsto dai principi contabili internazionali Ias/Ifrs (anche se, per la verità, il nuovo Ifrs 9 sugli strumenti finanziari ha ridotto i casi in cui lo scorporo è obbligatorio). Il nuovo comma 11-bis all’articolo 2426 del Codice civile prevede, infatti, che i derivati debbano essere iscritti nello stato patrimoniale secondo la valutazione al fair value e ciò anche se sono incorporati in altri strumenti finanziari.
Il caso tipico di scorporo del derivato è rappresentato dalle obbligazioni convertibili le quali, in base al principio della sostanza economica dell’operazione, devono essere “scomposte” in bilancio nelle due componenti (Oic 19, par. 76) rappresentate da un normale prestito obbligazionario non convertibile (passività finanziaria) su cui si applica il costo ammortizzato e da uno strumento derivato (opzione di conversione in azioni – cosiddetto warrant).
L’Oic 32 (par. 49) prevede in tal senso che l’emittente debba allocare il valore complessivo del contratto ibrido (rappresentato dal prezzo di sottoscrizione) alle due componenti risultanti dallo scorporo secondo il seguente schema:
- la passività finanziaria (contratto primario), che rappresenta il finanziamento vero e proprio, deve essere iscritta al fair value (valore attuale calcolato al tasso di interesse di mercato per obbligazioni ordinarie simili);
- la differenza che residua tra il valore del contratto ibrido e il fair value della passività finanziaria viene attribuita al contratto derivato.
Quest’ultima differenza, che sorge tra il fair value di bilancio della passività finanziaria e il corrispettivo versato dai sottoscrittori del titolo obbligazionario, rappresenta il valore della componente derivata (ovvero dell’opzione di conversione) ed è iscritta in una riserva del patrimonio netto (così anche il documento Cndec del dicembre 2017).
Quindi, in questo particolare caso, il valore dello strumento finanziario derivato separato, ossia l’opzione di conversione del prestito in strumento di capitale, è iscritto nel patrimonio netto, perché ha una natura sostanzialmente di apporto patrimoniale.
La passività finanziaria è invece iscritta nel passivo e valutata secondo il metodo del costo ammortizzato, per cui il valore del debito iscritto in bilancio si riallinea progressivamente al valore nominale del prestito obbligazionario grazie alla rilevazione contabile di interessi al tasso interno di rendimento, il quale risulta superiore rispetto al tasso nominale dell’emissione. Gli interessi passivi saranno contabilizzati in bilancio al tasso di mercato applicato al valore attuale del debito (inferiore a quello nominale) mentre gli interessi contrattuali sono calcolati (al tasso contrattuale) sul valore nominale.
Il maggior interesse imputato in bilancio viene capitalizzato sul debito iscritto in bilancio il quale alla scadenza del prestito risulterà riallineato al valore nominale di rimborso.
La riserva (di capitale) iscritta al momento dell’emissione del prestito obbligazionario convertibile, che rappresenta il valore dell’opzione di conversione, non subisce più alcuna modifica e rimane dunque acquisita nel patrimonio netto (senza essere mai riversata a conto economico), ciò anche se il diritto di conversione scade senza essere esercitato (circolare consorzio studi e ricerche fiscali gruppo Intesa n. 1/2018).
In base all’Oic 32 eventuali costi di transazione sostenuti per l’emissione dell’obbligazione convertibile (commissioni, imposte, consulenze eccetera) devono essere ripartiti proporzionalmente tra il debito e la riserva.
Specularmente, il sottoscrittore dell’obbligazione convertibile (se tenuto alle scritture contabili) dovrà effettuare lo stesso scorporo, iscrivendo separatamente il titolo obbligazionario “puro” e il derivato (warrant). Anche in tal caso l’allocazione del valore è effettuata determinando prioritariamente il fair value del titolo obbligazionario e attribuendo il valore che residua al derivato.
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