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Sui crediti d’imposta non spettanti e inesistenti serve chiarezza per legge

di Paola Coppola

C’è un confine troppo labile tra la non spettanza e l’inesistenza dei crediti d’imposta utilizzabili in compensazione, come più volte segnalato anche su «Il Sole24 Ore». Differenziare più compiutamente la fattispecie è una necessità ormai ineludibile se si considerano le gravi ripercussioni che si generano sul versante dell’accertamento delle violazioni/delitti di contribuenti (e professionisti), e delle sanzioni irrogabili tributarie, amministrative e penali.

La maggior parte delle norme sulle tante agevolazioni “trasfuse” per scelta legislativa in crediti d’imposta spendibili in compensazione sono molto complesse sul piano tecnico e, quindi, si prestano a letture contrastanti, talvolta incoerenti o arbitrarie, e malauguratamente la giurisprudenza e la prassi non sono di aiuto. Anzi. Si registrano recenti interpretazioni restrittive di assai incerta comprensibilità se rapportate ai tanti distinguo che andrebbero operati nell’applicare le norme sulle compensazioni che variano a seconda dell’oggetto del controllo, ovvero dell’utilizzo del credito a valle del pagamento di debiti tributari (e non) con il modello F24 o in dichiarazione; del calcolo (a monte) della misura agevolativa “trasfusa” nel credito d’imposta; del metodo di riscontro/verifica della compensazione operata (formale ex articoli 36-bis, 36-ter del Dpr 600/73 o 54 bis del Dpr 633/72, o sostanziale) del metodo di riscossione del credito indebitamente fruito (con o senza atto di recupero ex articolo 27 del Dl 185/2008), oltre che per i tempi di decadenza dell’ufficio, ordinari (ex articolo 43 del Dpr 600/73) o “speciali”(otto anni), al ricorrere di specifici presupposti.

Il tutto richiederebbe un approfondimento a fini ricostruttivi, ma per ciò che qui corre segnalare non dovrebbe prescindere dalla verifica della sussistenza della frode, che è la condizione pregiudiziale per distinguere l’inesistenza, dalla non spettanza dell’operata compensazione.

E invece, recenti sentenze di legittimità (ordinanze 24093 del 30 ottobre 2020, 351 del 13 gennaio 2021) ritengono «priva di fondamento logico-giuridico» la distinzione tra credito non spettante e credito inesistente e stabiliscono che il termine di decadenza vada «indistintamente fissato in otto anni». In mezzo (in termini di tempo), altra giurisprudenza di legittimità che ha preso le distanze da questo orientamento restrittivo (ordinanze sez. VI, n. 29717 depositata il 29 dicembre 2020 con rinvio alla sez. V) per l’assenza, nel caso trattato, dei presupposti della frode ex articolo 375 del Codice penale.

L’Agenzia “parifica” la non spettanza all’inesistenza dei crediti d’imposta compensati in tutti i casi di «mancanza del presupposto costitutivo» dell’agevolazione (circolare 31/E/2020, risposta 396 del 9 giugno 2021), nonostante che al superamento del limite di 50mila, l’illecito è sanzionato sul versante tributario (Dlgs 471/97, articolo 13, comma 5) dal 100% al 200%, e su quello penale (Dlgs 74/2000, articolo 10-quater) con la reclusione da 18 mesi a sei anni (comma 2). E ciò, si noti, pur quando l’errore, come è molto probabile che accada, dipenda da motivi tecnici legati a criteri di valutazione o di mera sfasatura di competenza, inerenza - e non di effettività/esistenza - dell’investimento, e/o di falsità della documentazione a supporto.

Le ricadute di queste incertezze e incoerenze sono sotto gli occhi di tutti.

Gli Uffici sono stati chiamati ad effettuare controlli mirati sulle compensazioni di crediti d’imposta (circolare 4/2021), benché le istruzioni sulle condizioni e limiti di utilizzo di quelli vigenti siano contenute in una miriade di circolari, risposte ad interpelli, richieste di pareri ad Autorità centrali, con incerte e contrastanti indicazioni. I contribuenti e i professionisti si trovano ad operare “nella nebbia” per quanto sono incerti e complessi i calcoli da effettuare e i principi da osservare.

L’effetto a catena dei possibili errori valutativi di una data misura agevolativa fruita “a mezzo” di un credito d’imposta (si pensi a quelli di R&S, oppure di industria 4.0, per non parlare del superbonus) non si esauriscono in ambito tributario e penale, ma possono “sconfinare” in sanzioni amministrative per le società beneficiarie (in caso di interesse, o vantaggio per l’ente) secondo il Dlgs 231/2001.

Si chiede, a più voci, l’intervento del legislatore che dovrebbe farsi carico di operare, al più presto, su più fronti. Quello sostanziale, per modificare l’articolo 13 del Dlgs 471/97 che, se si riflette, è nato, e resta idoneo a sanzionare, come in tutti i casi di ritardati od omessi versamenti, la non spettanza del credito d’imposta (al 30%, comma 4) evincibile “agevolmente” dai controlli automatizzati della dichiarazione e dai modelli di pagamento (F24), ma non per certo per “intercettare” gli illeciti valutativi, che sono quelli che potrebbero emergere solo nell’ambito di verifiche e controlli “nel merito” dei crediti d’imposta utilizzati che non possono “automaticamente” diventare inesistenti, ed essere più gravemente sanzionati, sol perché non sono “riscontrabili come non spettanti” dai controlli formali della dichiarazione, se manca la frode.

Dall’altro, va colmata sul piano del procedimento la lacuna che oggi persiste per il fatto che l’ “atto di recupero” (articolo 27, Dl 185/2008) è il mezzo che si è congegnato, all’epoca, per “riscuotere” i crediti d’imposta inesistenti ed irrogare sanzioni, ma non anche per “accertare” ogni indebita, ma non fraudolenta, compensazione. Ciò che oggi manca a sistema è, quindi, inglobare, o introdurre, nelle varie metodologie di controllo, un procedimento di accertamento mirato alla puntuale verifica dei presupposti costitutivi delle tante agevolazioni fruite a mezzo dei crediti d’imposta che, al pari di ogni altro metodo improntato al giusto procedimento, sia assistito dalle garanzie di un contraddittorio specifico tra ufficio e contribuente, idoneo a far contestare al primo, con prove idonee, l’eventuale violazione, ed al secondo di fornire la prova contraria con tutti i dati, documenti chiarimenti possibili dei criteri applicati nella misura ed avere risposta con “motivazione rafforzata” delle giustificazioni fornite, prima di arrivare al “recupero” delle imposte “non versate”, perché indebitamente compensate, e le correlate sanzioni tributarie, e se del caso, anche amministrative e penali. Diversamente, nonostante il proliferare dei tanti crediti d’imposta, soprattutto nel momento di crisi economica e finanziaria dell’era post-Covid, il contribuente, di fronte alle tante insidie che si celano nelle compensazioni per il rischio di “non sbagliare”, può fare solo una cosa: “rinunciare”. E non v’è motivo per credere che questo corrisponda alla voluntas del legislatore.