Sulla risoluzione dell’usufrutto imposta di registro «oscillante»
La risposta a interpello 41/2019 dell’agenzia delle Entrate ( si veda Il Quotidiano del Fisco del 13 febbraio ) con riferimento alla scioglimento di un contratto costitutivo di un usufrutto a termine stipulato tra due società e avente ad oggetto un bene immobile strumentale (categoria catastale D/6), consente di ritornare a trattare di una materia già oggetto di precedenti interventi ( si rinvia anche al Quotidiano del Fisco del 25 gennaio 2016 ).
L’Agenzia si pronuncia per la natura «traslativa» (e non meramente eliminativa e quindi ripristinatoria dello «status quo ante») della risoluzione consensuale, tale da ritenere plausibile, nella fattispecie concreta sottoposta alla sua attenzione, l’applicazione del medesimo regime fiscale previsto, appunto, per la cessione di diritti reali su beni immobili strumentali (imposta di registro in misura fissa, prescindendo dall’assoggettamento o meno ad Iva, e imposta ipotecaria rinforzata - con aliquota del 3% - e catastale - con aliquota ordinaria dell’1%).
A supporto del proprio convincimento, l’Agenzia riporta il pensiero espresso dai giudici di legittimità in alcune sentenze (Cassazione 3935/2014; 4134/2015).
Sennonché, la Suprema Corte di cassazione in altri casi si è espressa in senso diverso e quindi argomentando per la funzione solo estintiva del mutuo dissenso (Cassazione 20445/2011, dove testualmente afferma che «la risoluzione convenzionale integra un contratto autonomo con il quale le stesse parti o i loro eredi ne estinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vincolo e la sua peculiarità è di presupporre un contratto precedente fra le medesime parti e di produrre effetti estintivi delle posizioni giuridiche create da esso non essendo dato riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale»; medesimi principi in Cassazione 18844/2012; ancora Cassazione 2713/2017 per cui «la risoluzione consensuale del contratto rappresenta un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale»), era stata la medesima agenzia delle Entrate, in una ben motivata e ragionata risoluzione (la 20/E del 14 febbraio 2014), ad esprimersi convintamente per l’opinione meramente estintiva.
In una passo illuminato della richiamata risoluzione si legge appunto che «tenuto conto dell’effetto eliminativo che esplica l’atto di risoluzione per mutuo consenso, si ritiene che tale fattispecie non integra il presupposto per l’applicazione della disciplina prevista per i trasferimenti immobiliari dall’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Tur».
Né, peraltro, ha rilievo che la risoluzione 20/E fosse stata pronunciata con riferimento alla risoluzione di un contratto di donazione e non già di un contratto a titolo oneroso (come nella fattispecie oggetto della risposta ad interpello n.41/2019), e ciò perché, a ben considerare, la funzione economico-sociale della risoluzione consensuale, quella che ne costituisce la causa quale requisito essenziale in base all’articolo 1325 del Codice civile è sempre la medesima, prescindendo dalla colorazione empirica (gratuita od onerosa) della concreta fattispecie, assunta di volta in volta.
Se n’è avveduta correttamente la direzione regionale dell’Abruzzo – Ufficio servizi e consulenza, che in un documento da essa emanato qualche tempo fa (Age.Agedrabr.Registro ufficiale.0007234. del 2 maggio 2017-U) e pubblicato sulla pagina regionale del sito internet, ha ritenuto che il principio eliminativo «trova applicazione sia se l’atto di risoluzione per mutuo consenso sia riferito a un precedente atto di donazione di immobili, sia nel caso in cui la risoluzione abbia ad oggetto un precedente atto a titolo oneroso», con conseguente applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa.