Contabilità

Svalutazione con il nodo interessi

di Giorgio Gavelli

La svalutazione contabile (ma non fiscale) del credito spezza la derivazione rafforzata e introduce un doppio binario civilistico-fiscale sugli interessi?

È questa un’altra perplessità su cui si attendono chiarimenti dalle Entrate. Il principio Oic 15 (par. 66) prevede che per i crediti iscritti al costo ammortizzato l’importo della svalutazione alla data di bilancio è pari alla differenza tra il valore contabile e il valore dei flussi finanziari futuri stimati, ridotti degli importi che si prevede di non incassare, attualizzato al tasso di interesse effettivo originario del credito (cioè al tasso effettivo calcolato in sede di rilevazione iniziale). In buona sostanza, prima svaluto e poi attualizzo, senza modificare il tasso iniziale.

Questa procedura, secondo Assonime (Circ. n. 14/17), crea potenzialmente un problema di applicazione del principio di derivazione rafforzata. Infatti, se la svalutazione contabile del credito valutato al costo ammortizzato non è deducibile fiscalmente, gli interessi attivi contabilizzati da quel momento in poi potrebbero non essere corretti dal punto di vista fiscale, perché, ai fini del Tuir, l’operazione potrebbe dover procedere secondo quanto previsto prima della svalutazione. Per cui è possibile (ma non auspicabile, se non altro per ragioni di semplicità) che occorra operare delle variazioni in aumento per incrementare l’imponibile dell’importo degli interessi attivi eccedenti calcolati sul credito originario, da gestire col doppio binario, con possibili effetti secondari di rilievo (sul Rol, sul quadro RV, etc.). L’alternativa, come ricordato da Assonime, è quella di considerare la minor contabilizzazione di interessi alla stregua di un aspetto qualificatorio (come tale attratto dalla derivazione rafforzata) e non meramente valutativo.

Altro problema riguarda la rinegoziazione. Per i crediti ante-2016 è pressoché generalizzata la deroga al costo ammortizzato, prevista dagli Oic 15 e 19. Crediti e debiti pregressi, quindi, nella maggior parte delle imprese Oic-adopter anche medio/grandi sono ancora iscritti, rispettivamente, al valore di presunto realizzo e al valore nominale. Ma che succede se un credito commerciale viene rinegoziato nel 2017 con un piano di rientro di oltre 12 mesi? Occorre considerare la rinegoziazione come un’estinzione del credito pregresso seguita dall’accensione di un nuovo credito, forse di natura finanziaria e non più commerciale? Secondo il principio Oic 19 (peraltro sul punto oggetto di emendamento in bozza) la ristrutturazione del debito produce effetto analogo laddove «i termini contrattuali del debito originario differiscono in maniera sostanziale da quelli del debito emesso», concetto non proprio semplice da applicare.

Tornando ai crediti, venendo meno la deroga per gli importi “ante-2016” per effetto della rinegoziazione, scatterebbe l’attualizzazione, la quale, peraltro, origina diverse scritture contabili a seconda che la posta da attualizzare sia considerata di natura commerciale o finanziaria. È evidente che l’applicazione del principio di derivazione rafforzata trasforma queste perplessità contabili in altrettanti (e potenzialmente pericolosi) dubbi tributari.

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