Test di convenienza tra voluntary disclosure, ravvedimento lungo e acquiescenza
Per i contribuenti che vogliano regolarizzare la propria posizione relativamente alle attività detenute all’estero in violazione degli obblighi di monitoraggio e degli altri obblighi dichiarativi si pone la delicata scelta della strada più vantaggiosa da intraprendere.
A guidare il contribuente nella decisione saranno verosimilmente il costo dell’operazione e la copertura penale offerta, rispettivamente, dalla procedura di collaborazione volontaria e dalle alternative praticabili. A tale proposito, pur non essendo possibile formare un quadro completo visto il numero delle variabili in gioco, sembra interessante effettuare un confronto tra la voluntary disclosure e gli istituti del ravvedimento lungo (articolo 13, Dlgs 472/1997) e dell’acquiescenza (articolo 15, Dlgs 218/1997).
L’eventuale rilevanza penale delle violazioni commesse sarà la prima discriminante da considerare, posto che soltanto la collaborazione volontaria offre una copertura piena dai reati di dichiarazione infedele, dichiarazione fraudolenta, omessa dichiarazione e omesso versamento, oltre che dai reati di riciclaggio e autoriciclaggio. L’acquiescenza e il ravvedimento, invece, garantiscono soltanto la riduzione fino a un terzo delle pene previste per i delitti tributari (ex articolo 13, Dlgs 74/2000), mentre nessuna copertura è data per i reati di riciclaggio e autoriciclaggio. È opportuno notare, tuttavia, che in seguito al recente inserimento nel codice penale dell’articolo 131-bis, titolato «Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto», per alcuni dei suddetti reati potrebbe essere esclusa la pena anche nei casi di acquiescenza e ravvedimento. L’esclusione, subordinata a una valutazione del giudice circa modalità e abitualità della condotta ed esiguità del danno o del pericolo, è riservata a quei reati per i quali è prevista una pena detentiva massima non superiore a cinque anni. Potrebbe quindi riguardare, per quanto di nostro interesse, i reati di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, occultamento o distruzione di documenti contabili, omesso versamento di ritenute o di Iva, indebita compensazione, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e, in alcuni casi, il reato di autoriciclaggio.
Passando invece al piano dei costi – in termini di sanzioni amministrative – che la regolarizzazione comporta, non ci sono dubbi circa la netta convenienza della voluntary disclosure nel caso in cui le attività estere siano detenute in Paesi black list che abbiano firmato con l’Italia un accordo per lo scambio di informazioni (si veda l’esempio n. 1). Soltanto con tale procedura, infatti, è possibile evitare il raddoppio delle sanzioni e dei termini di accertamento, sia per quanto riguarda le violazioni sostanziali sia relativamente alla regolarizzazione del quadro RW. Tale elemento di differenza rispetto al ravvedimento e all’acquiescenza finisce, nella grande maggioranza dei casi, per sterilizzare gli eventuali altri vantaggi apportati da tali alternative.
Escludendo quindi il caso di detenzione delle attività in detti Paesi, l’elemento di maggior interesse che il ravvedimento comporta è la possibilità di regolarizzare specifiche violazioni commesse, senza la necessità di produrre la relativa documentazione (resta salvo, ovviamente, il potere accertativo dell’amministrazione finanziaria), a differenza della procedura di collaborazione dove è necessario presentare una dichiarazione completa, comprensiva anche dei maggiori imponibili non connessi con le attività estere.
Nella definizione dell’ammontare complessivo delle sanzioni dovute incidono poi in maniera determinante le modalità applicative del cumulo giuridico ex articolo 12, Dlgs 472/1997 nelle diverse soluzioni ipotizzate.
Tale istituto non risulta, infatti, applicabile al ravvedimento operoso, trattandosi di uno strumento attivato dal contribuente (si veda, a tale proposito, la circolare n. 11/E/2008).
D’altra parte si deve considerare che anche nel caso di voluntary disclosure l’utilizzo del cumulo giuridico risulta limitato. Per quanto stabilito dal comma 8 dell’articolo 12, Dpr 472/1997 e per l’interpretazione data dall’amministrazione finanziaria con la circolare n. 10/E/2015, sia nel caso in cui la procedura si concluda con un accertamento con adesione sia nel caso in cui si presti adesione all’invito al contraddittorio, il cumulo giuridico si dovrà applicare separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta.
Le uniche violazioni per le quali risulta, invece, applicabile l’istituto del cumulo giuridico nella voluntary disclosure sono quelle relative al monitoraggio fiscale. Stante, tuttavia, la soglia individuata dall’articolo 5-quinquies, comma 6, Dl n.167/1990, i contribuenti dovranno di fatto scegliere la soluzione più vantaggiosa tra la riduzione ad 1/3 della somma dei minimi edittali ex articolo 16, comma 3, Dlgs n.472/1997 e l’applicazione del cumulo giuridico, senza l’ulteriore riduzione a 1/3. La convenienza, di solito, è dettata dal numero di periodi d’imposta coinvolti (si veda, a tale proposito, la circolare n. 16/2015 di Assonime).
In quest’ottica sarà opportuno fare una valutazione circa la convenienza dell’acquiescenza. Tale istituto comporta la necessità di attendere l’atto di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Consente di ridurre le sanzioni a 1/3 (1/6 nel caso in cui l’avviso non sia preceduto da inviti o verbali) ed è l’unico tra gli istituti considerati che consente la piena applicazione del cumulo giuridico. Facendo qualche rapida simulazione (si veda l’esempio n. 2), si verifica che tale strumento può risultare spesso conveniente nei casi di regolarizzazione di attività detenute in paesi black list senza accordo. In tale circostanza resta, peraltro, da verificare se il raddoppio delle sanzioni si applichi esclusivamente ai redditi che presuntivamente servirono a formare la provvista estera (questo sembrerebbe emergere dal tenore letterale dell’articolo 12, Dl 78/2009) o anche ai redditi esteri derivanti dagli investimenti (questo l’orientamento dell’amministrazione finanziaria).
Le considerazioni di ordine generale sopra fatte potrebbero tuttavia non essere valide in presenza di specifiche situazioni (non così infrequenti). Si pensi, ad esempio, alla suddivisione pro-quota tra coloro che hanno la disponibilità delle attività detenute all’estero ai fini dell’RW, operante solo con la procedura di voluntary.
Una riflessione a parte potrebbe essere fatta, infine, sull’applicabilità della presunzione di fruttuosità ex articolo 6 Dl 167/1990 in misura pari al tasso ufficiale di riferimento, non applicabile nel caso si intraprenda la strada della voluntary disclosure, in cui le alternative date sono la determinazione analitica dei redditi e la determinazione forfetaria ad un tasso di rendimento del 5% (tasso che risulta essere, per i periodi accertabili, sempre superiore al Tur).