Contabilità

Transfer pricing, il rinvio alle linee guida Ocse vale anche per gli aggiornamenti

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di Eugenio della Valle e Giuseppe Lagrutta

La riformulazione dell'articolo 110, comma 7, del Tuir, con il riferimento al “principio di libera concorrenza” (noto anche come “arm's lenght principle”) quale criterio per valorizzare le operazioni infragruppo transnazionali, pone interessanti questioni interpretative.

Natura della norma

Tra i primi commentatori sembra prevalere la tesi della portata “interpretativa” della modifica dell'articolo 110, comma 7, motivata dal fatto che l'amministrazione finanziaria ha da tempo fatto riferimento e applicato in sede di controllo gli standard Ocse (circolare Assonime 17/2017).

Questa tesi, tuttavia, non convince del tutto. In primo luogo, sul piano letterale, nulla nell'articolo 59 del Dl 50/2017 depone a favore della natura “interpretativa” dell'intervento e la circostanza che anche prima si facesse riferimento alle Guidelines Ocse non appare decisiva ai fini di una conferma della predetta natura “interpretativa”.

In secondo luogo, sull’interpretazione del previgente articolo 110, comma 7, la Corte di cassazione (sentenze 22010/13 e 24005/13) si è espressa nel ritenere che, tra i diversi metodi indicati dall'Ocse, il legislatore italiano ha prescelto unicamente quello del confronto del prezzo (articolo 9, comma 3, del Tuir), non avallando pertanto l'automatico riferimento alle direttive Ocse sul transfer price (che prevedono diversi metodi, non solo il confronto di prezzo).

La riserva di legge

Il rinvio implicito operato dal nuovo articolo 110 alle direttive Ocse, eventualmente con il filtro del decreto ministeriale ivi contemplato, suscita qualche perplessità sotto il profilo della “riserva di legge” di cui all'articolo 23 della Costituzione giacché in questo modo la determinazione dell'imponibile, quanto ai soggetti cui si applica la norma in questione, viene interamente delegata ad un organismo internazionale e, di fatto, all'amministrazione finanziaria (i cui rappresentanti fanno parte del Comitato affari fiscali dell'Ocse) senza reali limitazioni provenienti dalla norma primaria. Si erode così ulteriormente il perimetro di operatività della “riserva di legge” sulla scorta di un processo che sembra irreversibile e che vede la determinazione del reddito d'impresa tra le aree più colpite.

Il rinvio all'Ocse

Il rinvio implicito agli standard Ocse è anche di natura “mobile”, destinato cioè ad introdurre nel nostro ordinamento, eventualmente con il filtro del decreto ministeriale, le predette direttive nel tempo aggiornate (oggi nella versione di luglio 2017).

Vi è peraltro da chiedersi se possano venire in considerazione anche altri documenti (Ocse o meno) che attengono, direttamente o indirettamente, al suddetto principio. Si pensi, ad esempio, al report Ocse sull'attribuzione dei profitti alle stabili organizzazioni, quelli che vivono per un certo periodo di tempo autonomamente al di fuori delle Guidelines medesime ovvero a quelli di matrice europea elaborati dall'Eu Joint Transfer Pricing Forum. È possibile ricorrere a qualunque tipo di documento che contenga principi allineati a quello di libera concorrenza ed anzi, ove il decreto ministeriale “filtro” escludesse a priori alcuni di questi documenti, se ne potrebbe sostenere la sua illegittimità per violazione della norma primaria delegante.

Il rinvio all'Ocse non dovrebbe peraltro pregiudicare la sopravvenienza della speciale disciplina relativa ai servizi di raccolta pubblicitaria online non valorizzabili, secondo una norma della legge 147/2013, ricorrendo al cost-plus.

Benefit test

Stante la nuova formulazione dell'articolo 110, comma 7, del Tuir, dovrebbe peraltro conseguire che tutti i capitoli delle Guidelines sono coinvolti dal rinvio al principio di libera concorrenza, incluso il capitolo VII relativo ai servizi intercompany in cui si prevede il cosiddetto benefit test.

Pertanto, la posizione dell'amministrazione finanziaria, secondo cui il mancato superamento del benefit test per i servizi infragruppo non attiene alla valorizzazione del servizio bensì al piano dell'inerenza (circolare 28/E/2011), andrebbe rimeditata. Questa impostazione avrebbe l'effetto, in primo luogo, sul piano sanzionatorio, del riconoscimento dell'esimente della penalty protection (articolo 1, comma 6, Dlgs 471/97) laddove il contribuente abbia predisposto idonea documentazione atta a supportare la congruità del corrispettivo e il beneficio derivante dai servizi infragruppo.

Si potrebbe poi sostenere, sul piano procedurale, che l'impresa italiana possa attivare il nuovo procedimento di rettifica in diminuzione di cui all'articolo 31-quater, lettera c), del Dpr 600/73 anche dove l'amministrazione fiscale di uno Stato estero (con il quale è in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni) abbia contestato, in via definitiva, alla consociata estera l'indeducibilità dei costi dei servizi infragruppo per mancato superamento del test.

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