Controlli e liti

Transfer pricing, la società di revisione salva i costi deducibili

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di Massimo Bellini e Enrico Ceriana

Piena deducibilità per le management fees in presenza di documentazione di supporto, tra cui un attestato di una società di revisione, e per le royalties sul marchio, anche se già presente nella ragione sociale. A dirlo è la Ctr Lombardia 4813/16/2018.
La controversia trae origine da una contestazione in base all’articolo 109 del Tuir sull’inerenza dei costi per spese di regia e royalties sul marchio addebitate a una società italiana da una consociata residente in Belgio. A parere dell’ufficio le management fees, che erano aumentate a seguito di una centralizzazione delle funzioni presso la consociata Belga, non potevano essere dedotte in quanto non adeguatamente supportate da documentazione che ne dimostrasse l’utilità. Anche le royalties dovevano essere considerate indeducibili in quanto il nome era parte integrante della ragione sociale della società italiana già dal 2007, mentre le royalties sul marchio erano state introdotte solo dal 2012. La sentenza conferma la decisione di primo grado e rigetta in toto la posizione dell’ufficio. I giudici hanno sottolineato l'utilità dell’attestato da parte di una società di revisione al fine di provare l’effettività dei costi.



Piena deducibilità per le management fees in presenza di documentazione di supporto, tra cui un attestato di una società di revisione, e per le royalties sul marchio, anche se già presente nella ragione sociale. I principi sono contenuti nella sentenza della Ctr Lombardia 4813/16/2018.
La controversia trae origine da una contestazione ex articolo 109 del Tuir sull’inerenza dei costi per spese di regia e royalties sul marchio addebitate ad una società italiana da una consociata residente in Belgio. A parere dell’Ufficio le management fees, che erano aumentate a seguito di una centralizzazione delle funzioni presso la consociata Belga, non potevano essere dedotte in quanto non adeguatamente supportate da documentazione che ne dimostrasse l’utilità. Anche le royalties dovevano essere considerate indeducibili in quanto il nome era parte integrante della ragione sociale della società italiana già dal 2007, mentre le royalties sul marchio erano state introdotte solo dal 2012.
La sentenza conferma la decisione di primo grado e rigetta in toto la posizione dell’ufficio. In particolare la Commissione ha ritenuto che la documentazione prodotta fosse idonea a dimostrare l’effettività e l’inerenza dei servizi. Tale documentazione era principalmente costituita da: prospetti di contabilità gestionale che evidenziavano la segmentazione dei costi, contratti intercompany, documentazione di transfer pricing e memorandum su servizi intra-gruppo e royalties.
In aggiunta i giudici hanno sottolineato l’utilità dell’attestato da parte di una società di revisione al fine di provare l’effettività dei costi. In particolare i revisori hanno esaminato presso la consociata i metodi per determinare gli addebiti alle varie società del gruppo e riconciliato tali importi con il bilancio della società Belga. I conti esaminati sono stati ad esempio spese generali, amministrative e di vendita, spese per il personale, ammortamenti etc.. Per alcuni costi è stata verificata la correttezza della chiave di riparto, basata sul volume d’affari. Dall’esame è emerso che la procedura di riaddebito rifletteva quanto indicato nei contratti. Pertanto l’attestato «va a giovamento delle tesi difensive sostenute dalla società appellata, in quanto imparziale ed indipendente». Già in passato la Cassazione (sent. 5926/2009 e 4737/2010) si era espressa sulla rilevanza probatoria della relazione di certificazione del bilancio. A maggior ragione non può essere ignorata la certificazione specifica sui servizi intercompany, come nel caso di specie.
Per le royalties è stato considerato irrilevante che fossero addebitate solo dal 2012 in quanto la società è libera di modificare i rapporti commerciali mentre l’ufficio può contestare tali decisioni solo quando sfociano in illeciti. Il codice civile distingue tra la denominazione sociale (ditta) e marchio e non è vietato che la capogruppo richieda una royalty sul marchio stesso anche se il nome faceva già parte della denominazione sociale. La società ha inoltre dimostrato la relazione di causa-effetto tra la royalty ed i ricavi di vendita. L’utilizzo del marchio ha infatti facilitato l’accesso a clienti e fornitori di grandi dimensioni. A nulla rileva che i ricavi siano sostanzialmente aumentati nel 2015 e non nel 2012, è infatti normale che i benefici non siano immediati.

Ctr Lombardia 4813/16/18

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