In linea generale, rientrano nella definizione di trust interposti quelli istituiti da disponenti che non hanno assimilato appieno la natura di tale istituto e che infarciscono gli atti istitutivi di clausole volte a consentire loro di mantenere (direttamente o indirettamente) un potere eccessivamente ampio sul trustee o sul fondo in trust, se non addirittura poteri che consentono di revocare il trust in ogni momento. L’agenzia delle Entrate nell’affrontare il caso di un trustee, istituito da un residente in Italia con beneficiari anch’essi residenti e trust estero, si pronuncia sulla genuinità, e quindi non interposizione ai fini fiscali, di tale strumento. Tale risposta offre lo spunto per approfondire alcuni profili critici del pensiero dell’Agenzia in materia di interposizione.
Il caso
Con la risposta a interpello 145/2025 l’agenzia delle Entrate si è pronunciata in merito alla natura (interposta o genuina) di un trust i cui elementi essenziali erano i seguenti:
- disponente e beneficiari residenti in Italia;
- disponente qualificato quale “excluded person”, ovvero come un soggetto che non potrà in alcun modo beneficiare del patrimonio detenuto in trust;
- trustee company professionale (una società con sede a Malta);
- guardiano un avvocato italiano privo di legami di parentela con il disponente e i beneficiari;
- limitati poteri di veto del guardiano con riferimento all’esercizio dei poteri del trustee;
- il guardiano ha il potere di revocare il trustee e di nominare nuovi trustee o trustee aggiuntivi;
- il guardiano può essere rimosso esclusivamente dal trustee, il quale può esercitare tale potere solo nel caso di incapacità sopravvenuta del guardiano.
Con la risposta in commento l’agenzia delle Entrate è giunta alla conclusione che tale trust “possa essere considerato un autonomo soggetto di imposta ai fini fiscali italiani”; in altre parole, tale trust non deve essere considerato fiscalmente interposto.
Non è dato sapere se il come è stato strutturato l’atto istitutivo...