Controlli e liti

Un credito fiscale chiesto in eccesso non è cancellabile

Cassazione: la mancanza di danno all’Erario e la buona fede del contribuente pesano sul giudizio finale

di Laura Ambrosi

È illegittimo il disconoscimento integrale del credito se si tratta solamente del riporto in misura superiore a quello spettante e senza alcun danno all’erario. Ad affermarlo è la Cassazione con la sentenza 13101 depositata martedì 30 giugno.

La vicenda trae origine dalla notifica di una cartella di pagamento ad una società, con la quale l’agenzia delle Entrate contestava un omesso versamento di Ires ed Iva, conseguente, al disconoscimento del credito riportato dall’anno precedente. Più precisamente, la contribuente aveva presentato la dichiarazione indicando un credito superiore all’effettivo e l’ufficio lo considerava integralmente inesistente.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che, solo in grado di appello, confermava la legittimità della pretesa.

La società ricorreva così in Cassazione lamentando, tra i diversi motivi, un’errata applicazione della norma atteso che risultava in atti l’esatta ricostruzione del credito Iva dalla quale emergeva anche che la parte in eccesso non era stata utilizzata così non arrecando alcun danno all’erario.

La Suprema corte ha innanzitutto richiamato il principio secondo il quale in tema di Iva, se il contribuente riporta negli anni successivi un credito in misura superiore al residuo spettante dopo averlo utilizzato parzialmente in compensazione con altro tributo, non si configura una violazione equiparabile all’indebito o al fraudolento uso di tale credito, se la condotta è in buona fede (Cassazione 14178/2019).

I giudici di legittimità hanno precisato che tale principio si fonda sulla considerazione che la mera irregolarità di una dichiarazione non può concretizzare un effettivo illecito avente ad oggetto il mancato versamento di imposte, occorrendo anche un danno all’erario.

Nella specie, la Ctr aveva errato a ritenere che l’esposizione di un credito superiore corrispondesse alla totale inesistenza di esso, senza valutare se dalla documentazione prodotta in atti emergesse la buona fede della contribuente. Peraltro, il collegio di appello aveva anche omesso ogni valutazione sulle prove prodotte relative all’assenza di danno erariale.

Da qui le ragioni di accoglimento dei motivi della società.

La decisione è particolarmente interessante poiché sembra sottolineare la rilevanza della buona fede del contribuente e della sussistenza o meno del danno erariale dinanzi ad errori in tema di crediti di imposta. Non di rado, gli uffici si limitano a disconoscere in misura quasi automatizzata crediti di imposta dinanzi ad errori formali senza concretamente verificarne l’effettiva spettanza.

In passato, le Sezioni Unite (sentenza 17757/2016) avevano affermato che il contribuente in giudizio può provare la sussistenza dei requisiti sostanziali del credito anche in assenza dei requisiti formali e, quindi, anche in caso di dichiarazione omessa.

Sarebbe auspicabile, che dinanzi ad un così chiaro orientamento, gli uffici prima di proseguire in simili contenziosi, verifichino l’effettività del credito ed eventualmente emettano provvedimenti solo per le somme indebitamente (e concretamente) utilizzate.

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