Superbonus 110%: detrazione, cessione o sconto in fattura. Come gestire l’imposta sui lavori
L’agevolazione fiscale viene usata al massimo solo se fruita direttamente in dichiarazione
Nel superbonus del 110%, la detrazione va determinata sul corrispettivo addebitato al committente comprensivo di Iva. In caso di utilizzo diretto della detrazione il bonus è sfruttato al massimo, mentre nella cessione è soggetto a trattativa e nello sconto in fattura il committente recupera “solo” il totale addebitatogli.
Tra i vari ragionamenti da fare riguardo al superbonus del 110%, occorre innanzitutto tenere in considerazione che per il committente degli interventi di cui all’articolo 119 del decreto Rilancio (così, comunque, come avviene ed è avvenuto per gli altri interventi, tra cui recupero del patrimonio edilizio, ecobonus e sismabonus) la detrazione va calcolata sul corrispettivo addebitato dal singolo prestatore, comprensivo di Iva. Dato 100, quindi, il valore del lavoro e 10 l’imposta, per un totale di valore dell’intervento pari a 110, al committente, non soggetto Iva, spetta una detrazione di 121, considerando di poter accedere, per tutti gli interventi al 110 per cento.
Il bonus in dichiarazione
A questo punto il committente ha di fronte a sé tre strade diverse. La prima è sfruttare nella propria dichiarazione dei redditi tutta la detrazione che, rimanendo nel semplice esempio numerico di cui sopra, è pari a 121. Tale detrazione, con riferimento all’agevolazione di cui all’articolo 119 del Dl 34/2020, va ripartita in cinque anni e l’unica cosa che il committente deve appurare è la propria capienza Irpef perché la detrazione eventualmente eccedente è persa.
La cessione del credito
La seconda possibilità è quella di cedere il credito d’imposta ad altri soggetti, compresi istituti di credito e altri intermediari finanziari. Il prezzo della cessione, in questo caso, è rimesso alla contrattazione tra le parti ma il cessionario, che in base a quanto stabilito dall’articolo 121 del Dl 34/2020 deve mantenere «la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione», da parte del committente, dovrà tentare di scontare un “prezzo” che non lo penalizzi visto che il recupero di tale credito d’imposta avverrà sempre in cinque anni. Un ragionamento potrebbe essere quello di attualizzare il valore del credito d’imposta acquistato, utilizzando un tasso di mercato ovvero verificando qual è il tasso che gli verrebbe applicato se dovesse chiedere a terzi il finanziamento della cifra pari al credito d'imposta, su un lasso temporale di cinque anni. Se, per esempio, venisse determinato un tasso del 2,5%, la cifra di 121 attualizzata con formula semplice darebbe un valore di 110.
Lo sconto in fattura
Infine, la terza possibilità è che il committente degli interventi riceva uno sconto in fattura pari all’importo della fattura stessa, comprensivo, come già detto, di Iva. In questo caso occorre tenere in considerazione che il comma 1, lettera a), dell’articolo 121 del Dl 34/2020, stabilisce che tale sconto può arrivare «fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso». Ciò significa che dato sempre 110 il corrispettivo totale scaturente dalla fattura, 110 è lo sconto massimo che il prestatore può applicare.
A questo punto, però, il prestatore, sempre come stabilito dalla disposizione appena richiamata, recupera tale “contributo”, riconosciuto al committente come sconto, sotto forma di credito d’imposta, «di importo pari alla detrazione spettante» allo stesso committente, ossia 121, credito d’imposta che può essere anche oggetto di successiva cessione e che va utilizzato con le stesse modalità riconosciute in capo al committente.