Versamento effettuato a favore di società, spetta al socio provarne la natura
L’«erogazione di somme che, a vario titolo, i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta a una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato a essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva «in conto capitale» (o altre simili denominazioni)».
È quanto deciso dalla corte di Cassazione con ordinanza del 23 agosto 2018 n. 20978, nell’ambito di un giudizio attivato dal socio di una società a responsabilità limitata, il quale aveva effettuato a favore della società un apporto patrimoniale in denaro (pari a euro quindicimila), a fronte della mancata restituzione di detta somma.
A tale proposito, la «qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi».
La Suprema Corte ha osservato che al fine di stabilire se esista o meno il diritto alla restituzione è necessario qualificare la natura dell’apporto patrimoniale, vale a dire se si era trattato di «versamento» oppure di «finanziamento».
E poiché correttamente la Corte d’appello aveva considerato l’apporto alla stregua di un «versamento» considerato il contesto nel quale era stato effettuato, vale a dire «in considerazione della tensione finanziaria in essere» presso la società nel momento in cui era stato richiesto ai soci il versamento, nessun diritto alla restituzione doveva essere riconosciuto al socio.
Mentre i «finanziamenti» hanno natura di mutuo e come tali generano un debito per la società, tanto che vengono iscritti in bilancio tra le passività, invece i «versamenti» (in particolare «i versamenti in conto capitale») consistono in apporti effettuati a titolo di capitale di rischio e come tali vanno a incrementare il patrimonio netto della società (Cassazione 24 luglio 2007, n. 16393), con la conseguenza che questi ultimi non danno luogo all’obbligo della società di restituzione dell’importo ricevuto.
In quanto capitale di rischio gli apporti di patrimonio effettuati a tale titolo possono essere imputati a capitale sociale, oppure possono essere utilizzati per ripianare perdite, senza generare alcun diritto alla restituzione, salva la preventiva estinzione di tutti i debiti.
Peraltro, nel caso in esame, il socio ricorrente aveva trasferito a un soggetto terzo la propria partecipazione al capitale sociale, «ivi inclusi ogni diritto, azione e ragione spettante nei confronti della società ceduta», tra cui anche il rapporto sorto a fronte del versamento in esame, cosicché nessuna pretesa poteva vantare l’ex socio ricorrente su detto versamento.
Occorre infine osservare, come ribadito nella sentenza 16049/2015 della Cassazione, che diversa è la sorte del credito in ipotesi di finanziamento poiché la cessione della partecipazione sociale non determina automaticamente anche il trasferimento del credito alla restituzione del finanziamento, da cui consegue che, nel silenzio del contratto, detto credito non si intende trasferito con la partecipazione e non viene meno il diritto del socio (cedente) a ottenerne la restituzione.
Per approfondire: A. Busani ed E. Smaniotto in Norme & Tributi Mese novembre 2018