Imposte

Verso la flat tax: le sostitutive tagliano già l’Irpef di 10 miliardi

La riduzione delle aliquote dell’imposta sui redditi dovrà fare i conti con i regimi agevolati che erodono l’imponibile generale e continuano a proliferare. Da affitti e partite Iva l’impatto maggiore

La flat tax per eccellenza – il regime forfettario delle partite Iva – è ormai usata da 2 milioni di professionisti, autonomi e imprenditori. Contribuenti che nelle dichiarazioni reddituali del 2022 hanno indicato un’imposta sostitutiva di 2,9 miliardi di euro. Se avessero pagato l’Irpef, l’Iva e l’Irap – si può stimare – le entrate per le casse pubbliche sarebbero state di 3,5 miliardi più alte.

Ma il fisco italiano è costellato da tante altre flat tax, che si sono accumulate nel tempo e che ogni anno sottraggono all’Irpef almeno 10 miliardi, considerando solo quelle a regime e quelle per le quali la commissione di esperti del ministero dell’Economia ha svolto le proprie analisi. Alcune imposte hanno un peso specifico consistente, come la cedolare sugli affitti, che nel 2022 è stata scelta da 2,7 milioni di locatori e ha effetti finanziari negativi di 2,9 miliardi per l’Erario (tra Irpef, addizionali e imposta di registro). Altre rientrano quasi nel folklore, come la sostitutiva di 100 euro per la raccolta di tartufi e funghi (effetti finanziari negativi di 1,2 milioni) e quella del 15% sulle lezioni private degli insegnanti (appena 300mila euro di effetti stimati dagli esperti del Mef).

Altre ancora sono c onsiderate forme “ordinarie” di tassazione, come le ritenute (dal 12,5 al 26%) effettuate da banche e intermediari sui proventi finanziari, che hanno fruttato 8,7 miliardi nel 2022. Qui non ha senso ragionare di minor gettito Irpef, tant’è vero che non sono neppure censite come agevolazioni dalla commissione ministeriale. Idem per l’effetto sostitutivo dell’Imu sull’Irpef dei redditi fondiari: erode 2,3 miliardi, ma è un elemento strutturale dell’imposta immobiliare dal 2012.

Il muro delle aliquote agevolate

Si potrà dire che 10 miliardi sono poca cosa rispetto ai 205,8 miliardi di gettito Irpef raccolto dall’Erario nel 2022: di fatto, parliamo di un’erosione del 4,8 per cento. Le sostitutive, però, sono una realtà con cui la delega per la riforma fiscale – che venerdì scorso ha visto una pioggia di 639 emendamenti in commissione alla Camera – dovrà fare i conti. E questo per diverse ragioni.

Primo. I regimi fiscali sostitutivi sono costantemente aumentati negli ultimi anni, andando a indebolire quello che la Corte dei conti chiama il «principio dell’onnicomprensività della base imponibile». E la volontà politica dell’attuale maggioranza di centrodestra sembra essere quella di continuare a usare le sostitutive, anche come leva per incentivare la dichiarazione di maggiori redditi. Basta pensare alla flat tax incrementale introdotta in via sperimentale dall’ultima legge di Bilancio per i titolari di partita Iva che non applicano il forfettario. Oppure alla sostitutiva del 5% sulle mance raccolte tramite il datore di lavoro e riversate a camerieri e altri addetti del turismo. O, ancora, alla cedolare sugli immobili non residenziali prospettata dalla stessa delega fiscale.

Secondo. L’esperienza dimostra che le imposte sostitutive sono facili da introdurre e impossibili da tagliare (perché nessuno – all’atto pratico – vuol prendersi la responsabilità di scontentare neppure il più piccolo gruppetto di contribuenti). Ma proprio dal taglio delle agevolazioni la riforma fiscale punta a recuperare le risorse per autofinanziarsi.

Terzo. La delega fiscale parla di flat tax anche come prospettiva di riforma dell’Irpef. Ma qui si sovrappongono due concetti diversi. Un conto è tassare un certo reddito con un tributo fisso o proporzionale, lasciandolo fuori dall’Irpef (cosa che è accaduta e accade sempre più spesso, dai tartufi alle mance agli affitti). Un altro è ridisegnare l’Irpef riducendo il numero delle aliquote fino ad arrivare a un’unica aliquota proporzionale, affiancata da un sistema di detrazioni e deduzioni, che garantisca la progressività del prelievo (cosa che punta a fare la delega per la riforma fiscale).

Tra cedolari e basi imponibili

Al di là del cammino della delega e dei decreti attuativi, un passo verso la flat tax “generale” potrebbe essere compiuto già nella legge di Bilancio per il 2024. Magari riducendo da quattro a tre le aliquote Irpef. O introducendo un prelievo sostitutivo (un altro!) sulle tredicesime.

Resta da vedere se ci saranno anche interventi di riordino (cioè: taglio) degli attuali regimi sostitutivi. I dati disponibili mostrano che molte flat tax hanno effetti finanziari così modesti da non apparire neppure nelle statistiche, come la ritenuta del 20% sul noleggio occasionale di barche.

Mentre il grosso delle risorse è drenato da cinque sostitutive: oltre a regime forfettario e cedolare, ci sono la detassazione dei premi di produttività (553,5 milioni), le sostitutive sul Tfr (465,8) e la ritenuta del 5% sulle rendite della Avs Svizzera (562,8).

Di per sé, un restyling dell’Irpef che vada verso una graduale riduzione delle aliquote non garantisce che saranno riportati sotto l’Irpef i redditi oggi tassati con le varie sostitutive. Lo segnala anche l’Ufficio parlamentare di Bilancio, secondo cui «per quanto riguarda il disegno a regime, non è chiaro se nella base imponibile dell’Irpef verranno ricomprese le fonti di reddito che nel tempo ne sono state escluse dall’applicazione e assoggettate a regimi sostitutivi (con aliquote proporzionali differenziate) generando problemi di equità orizzontale».

Anzi, il trend pare quello di andare verso una maggiore “cedolarizzazione” del fisco. Proprio per evitare che gli stessi 100 euro di reddito siano tassati al 5, 10, 26 o 43% a seconda di come vengono ottenuti (solo per citare alcune delle aliquote), la Corte dei conti si chiede «se forme più organiche e coerenti del sistema di tassazione dei redditi possano essere raggiunte a fronte di una progressività formale più moderata ma estesa a tutte le categorie di reddito».

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