Welfare aziendale con chance deducibilità dal reddito d’impresa
Il tema del welfare aziendale a favore dei dipendenti spesso è analizzato verificando le opportunità relative al risparmio per il dipendente, in termini di esenzione dal reddito di lavoro, ovvero di riduzione del costo contributivo a favore del datore di lavoro. Tuttavia particolare rilevanza deve essere data anche ai risvolti di carattere fiscale in materia di reddito di impresa ovvero di eventuali ricadute riguardanti le imposte indirette. L’agenzia delle Entrate, anche tramite interpelli di Direzioni regionali, si è occupato delle due tipologie di ricadute fiscali.
Relativamente al reddito d’impresa, si deve rilevare che dal combinato disposto dell’articolo 100 e dell’articolo 51, comma 1, lettera f del Tuir, il costo del welfare relativo a servizi di utilità sociale (finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto) è deducibile nella misura del 5 per mille del costo del lavoro ove previsto «volontariamente» dal datore di lavoro.
Viceversa, nel rispetto dell’articolo 95 del Tuir, ove detti servizi siano concessi, alla generalità o a categorie di dipendenti, in conformità a disposizioni di contratto collettivo o di accordo o di regolamento aziendale, detti costi potranno essere dedotti senza alcun limite d’importo.
La circolare dell’agenzia delle Entrate n. 5/E del 29 marzo 2018 affronta la predetta tematica precisando che:
1) la norma definisce il ruolo della contrattazione collettiva nell’erogazione dei servizi di welfare specificando che gli stessi possono essere oggetto di contrattazione sia a livello nazionale (primo livello), che decentrata (secondo livello), ossia territoriale e aziendale;
2) detta disposizione opera non solo relativamente alle opere e servizi disciplinati dalla lettera f, ma anche per «le somme e i valori» disciplinati dalle successive lettere f-bis, f-ter e nella nuova lettera f-quater, interpretazione quest’ultima che sembra una forzatura rispetto alla lettera della norma;
3) il regolamento aziendale che consente la piena deducibilità ai fini del reddito d’impresa deve configurarsi quale adempimento di un obbligo negoziale e non un mero atto unilaterale e volontario, privo di impegno nei confronti dei lavoratori, predisposto dal datore di lavoro.
Relativamente alla detraibilità dell’Iva dei piani di welfare, l’agenzia delle Entrate, in particolare la Direzione Regionale Lombardia, con la risposta all’interpello n. 904-603/2017 del 20 luglio 2017, ha avuto modo di analizzare un caso concreto di concessione gratuita ai dipendenti di un canone di pay tv.
A tal riguardo, la Direzione ha premesso che, in via generale, ai sensi dell’articolo 19 del Dpr 633/1972, il diritto alla detrazione dell’imposta spetta a condizione che:
1) l’acquisto dei beni e dei servizi sia inerente all’attività economica svolta dal soggetto passivo;
2) i beni e i servizi acquistati siano afferenti a operazioni imponibili o a esse assimilate dalla legge ai fini dell’esercizio della detrazione;
3) sussista un «nesso diretto e immediato tra le spese collegate alle prestazioni a monte e il complesso delle attività economiche del soggetto d’imposta» essendo la detraibilità «connessa al trattamento delle operazioni effettuate a valle, cui gli acquisti si riferiscono».
Conseguentemente per la Direzione interpellata, non essendo possibile riscontrare, nel caso del canone della pay tv rientrante nel piano welfare della società di ristorazione, il rispetto delle suddette condizioni, la stessa non era legittimata a detrarre l’Iva relativa all’acquisto dell’abbonamento.
Per approfondire:
Welfare aziendale di Giuseppe Falasca e Cristian Valsiglio - in edicola e on line