Imposte

Nel Dl crescita troppi interventi spot, allo sviluppo serve un piano d’azione mirato

di Angelo Cremonese

In esclusiva per gli abbonati al «Quotidiano del Fisco» un articolo in anteprima dal Focus di Norme&Tributi «Le agevolazioni per le imprese. Guida alle novità del decreto crescita» in uscita domani con Il Sole 24 Ore

L’economia del nostro Paese rallenta, la distanza fra Italia ed Eurozona aumenta e il quadro congiunturale della seconda parte dell’anno non è certo confortante. In questo scenario il governo cerca, con il decreto crescita (Dl 34/2019), di creare un argine alla caduta libera del Pil e di porre i presupposti per segnare una svolta. Investire nello sviluppo, piuttosto che sulla discutibile distribuzione a pioggia di risorse, va senz’altro considerato un passo avanti, ma il provvedimento, pur corposo nella stesura e ambizioso negli obiettivi, non sembra in grado di creare gli stimoli giusti per far ripartire il Paese. Invece di concentrare gli sforzi su poche misure di grande impatto, si è puntato su tanti piccoli interventi che rischiano di avere una scarsa incisività sul fronte della crescita.

Cure troppo blande
Le misure fiscali più significative, la mini Ires e il superammortamento, varate dopo mesi di attesa, assomigliano purtroppo alla montagna che partorisce il topolino: non rappresentano idee nuove e sono cure troppo blande per dare una boccata d’ossigeno alle imprese. Senza considerare che le politiche d’incentivazione temporanea, come la possibilità di portare in deduzione dall’imponibile Ires il 130% della spesa per l’acquisto di nuovi beni strumentali, hanno spesso un effetto boomerang. Gli incentivi, infatti, inducono ad anticipare gli investimenti, con un beneficio immediato per l’economia, ma, nei periodi successivi, queste anticipazioni potrebbero provocare un sensibile rallentamento degli acquisti, per compensare l’accelerazione causata dal beneficio fiscale.

La fragilità patrimoniale
La riduzione di un punto e mezzo dell’Ires sugli utili reinvestiti (che dovrebbe salire al 2,5% nel 2020, al 3% nel 2021 e stabilizzarsi al 3,5% a partire dal 2022) e le altre agevolazioni previste per favorire la capitalizzazione delle imprese cercano di porre rimedio alla fragilità patrimoniale che affligge il nostro comparto produttivo e che ne influenza la scarsa produttività. Questa misura va dunque commentata favorevolmente ma è chiaro che per vedere degli effetti non trascurabili saranno necessari tempi lunghi.

Sul fronte del rafforzamento patrimoniale delle imprese, considerata l’estrema urgenza di una scossa, non si comprende per quale motivo si sia perso tempo prezioso devitalizzando l’Ace che aveva portato qualche risultato in questa direzione. Tradurre in numeri gli effetti del decreto crescita è un’operazione senz’altro complessa per le numerose variabili dell’effetto leva auspicato, ma il tentativo di allargare la portata degli incentivi a numerosi settori rischia di disperdere le già esigue risorse e di non centrare gli obiettivi di favorire lo sviluppo del settore produttivo, far ripartire gli investimenti e ridurre la pressione fiscale.

Le aggregazioni
Anche le norme del Dl 34/2019 per favorire l’aggregazione tra imprese e lo snellimento di alcune procedure burocratiche possono dare un contributo positivo ma non ci sono garanzie circa i risultati che potranno generare sul fronte della capacità produttiva. Si continua ad incentivare l’afflusso di gettito nelle casse dello Stato con misure di “saldo e stralcio” e con rottamazioni ma non si trovano contributi per alzare il tiro sulla lotta all’evasione fiscale che in tempi pre-elettorali non fa crescere i consensi.

L’incognita dell’impatto
L’impatto sulla crescita e sull’occupazione giovanile rischia di essere molto basso, in mancanza di una strategia sugli investimenti industriali e sui redditi più bassi dei salariati. Ci si è dimenticati che siamo fra i paesi al mondo in cui è più alto il cuneo fiscale. In una finanza pubblica che ha poche risorse dare ossigeno alle imprese con l’abbattimento vero della burocrazia non costerebbe nulla e avrebbe un impatto molto più forte di una piccola riduzione di imposte. Il paradosso è che il governo non riesce a trovare risorse per finanziare lo sviluppo e alza le barricate su quota 100 che non produce un euro di Pil.

Le misure mancanti
La riflessione di fondo è che la situazione critica della nostra economia avrebbe richiesto misure dall’impatto più forte quali una significativa riduzione dell’Irap e del cuneo fiscale che tanto pesano sulla competitività delle nostre aziende. Le limitate risorse utilizzate fanno ritenere che non si potrà fronteggiare la recessione in atto con questo provvedimento e risulterà probabilmente velleitario affidarvi le speranze di far risalire l’indicatore del Pil per evitare di ricorrere a una manovra-bis.

Il decreto legge 34/2019

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