Finanza

Società di trading sotto Cfc solo per attività intercompany

In base alla direttiva Atad, potrebbero essere escluse anche le controllate estere con funzioni distributive

(AdobeStock)

di Diego Avolio e Benedetto Santacroce

La prossima dichiarazione dei redditi sarà il banco di prova per la prima applicazione della nuova normativa sulle Cfc (Controlled foreign companies) come modificata dal decreto legislativo 142/2018 di recepimento della direttiva Atad. Prima di allora il Mef e l’agenzia delle Entrate sono però chiamati a chiarire i punti dubbi della disciplina.

I soggetti inclusi
Per effetto della nuova formulazione dell’articolo 167 del Tuir, in vigore a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, è ora previsto un unico regime Cfc per i soggetti esteri controllati al ricorrere di due requisiti:
che siano assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia;
che oltre un terzo dei proventi da essi realizzati sia rappresentato da “passive income”.

Sulla base della nuova formulazione della norma sono quindi escluse dall’ambito di applicazione della disciplina le società controllate estere che, pur se assoggettate a un livello di tassazione effettiva inferiore al 50% di quello italiano, non integrano la soglia prevista per i “passive income”, ovvero sono assoggettate ad un livello di tassazione effettiva congruo.

Va detto che le maggiori criticità interpretative si riscontrano nella corretta individuazione dei “passive income”. A questi fini, la nuova formulazione dell’articolo 167 del Tuir, accanto agli interessi, ai dividendi, alle royalties e ai redditi derivanti da altre attività finanziarie, ha previsto pure i proventi derivanti da operazioni intercompany di compravendita di beni e di prestazioni di servizi con «valore economico aggiunto scarso o nullo». Si tratta del recepimento di quanto previsto all’articolo 7, paragrafo 2 lettera a), della direttiva Atad, che fa riferimento ai «redditi da società di fatturazione che percepiscono redditi da vendite e servizi derivanti da beni e servizi acquistati da e venduti a imprese associate, e aggiungono un valore economico scarso o nullo».

I servizi intercompany
La norma conferma una prassi già in uso dell’agenzia delle Entrate che, nella precedente formulazione dell’articolo 167 del Tuir, aveva avuto modo di ritenere ricompresa tra le fattispecie dei “servizi intercompany”, rilevanti ai fini della disciplina delle Cfc white list, anche le attività di compravendita svolte dalle società di trading (circolare 28 giugno 2011, n. 28/E).

Un’interpretazione aderente al dettato della direttiva Atad dovrebbe, comunque, portare a ritenere rilevanti, ai fini del computo dei proventi intercompany passive, solo quelli derivanti da operazioni interne al gruppo sia in entrata sia in uscita, ciòè i ricavi che il soggetto controllato estero ritrae dalla vendita di beni e servizi a società del gruppo relativamente a beni e servizi acquistati da società del gruppo.

In questi termini, dovrebbero ricadere nel novero dei soggetti potenzialmente interessati all’ambito di applicazione della normativa Cfc le sole società di trading che intrattengono rapporti intercompany sia in sede di acquisto sia in sede di rivendita; diverso dovrebbe essere il caso delle società di trading che acquistano beni da soggetti terzi per poi rivenderli a soggetti del gruppo a cui appartengono.

Le società escluse
Per potere ritenere integrata l’ipotesi dei “passive income” deve, inoltre, trattarsi di proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni e di prestazioni di servizi con «valore economico aggiunto scarso o nullo». La relazione al decreto 142/2018 ha precisato che l’individuazione di tali operazioni dovrà avvenire secondo le direttive previste nel decreto 14 maggio 2018 sui prezzi di trasferimento per i servizi a basso valore aggiunto.

In considerazione del fatto che le stesse linee guida Ocse escludono dai servizi a basso valore aggiunto quelli di vendita, marketing e distribuzione, si è dell’avviso che non dovrebbero ricadere tra i soggetti potenzialmente interessati alla normativa Cfc le società controllate estere che svolgono funzioni distributive, cioè vendono a terzi i prodotti acquistati intercompany, tenendo in disparte il loro livello di tassazione effettiva.

Dovrebbero ugualmente considerarsi escluse dalla normativa sulle Cfc le società controllate estere che svolgono funzioni di “conto lavoro” (contract manufacturer o toll manufacturer), in analogia a quanto previsto per i servizi di produzione, che sono esclusi dalle linee guida Ocse dai servizi a basso valore aggiunto.

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