Imposte

Cessioni a termine di valute con doppia tassazione

Il meccanismo suggerito dalla risposta a interpello 210 genera doppie tassazioni o doppie deduzioni a seconda dei cambi

di Marco Piazza

La risposta dell'agenzia delle Entrate 210 del 2020, pubblicata il 13 luglio, evidenzia come la cessione a termine di valuta (l’operazione in valuta più semplice dopo la cessione “spot”) sia resa praticamente impossibile dal relativo regime fiscale.

La risposta riguarda un contratto cosiddetto “deliverable FX forward”, consistente in un accordo fra il venditore della valuta e l'acquirente della valuta, in base al quale:

- il venditore si impegna a pagare al compratore un importo fisso della valuta base (USD), e

- il compratore si impegna a pagare al venditore un importo fisso di un'altra valuta (EUR).

Entrambi gli importi sono pagati ad una data futura concordata.

Il contratto è inquadrato dall'istante come una normale cessione a termine di valuta di tipo “traslativo”.

È pacifico che, per le valute estere cedute a termine, si assume come costo il valore della valuta al cambio a pronti vigente alla data di stipula del contratto di cessione (articolo 68, comma 6, sesto periodo, Tuir). Assumono, quindi, rilevanza fiscale , i cosiddetti «punti termine».

Per fare un esempio, se una persona fisica che ha acquistato un dollaro al prezzo di un euro, temendo un ribasso del dollaro, stipula un contratto di cessione a termine di un dollaro al cambio di 0,9 euro, emergerà una minusvalenza di 0,1 euro (per semplicità, si usa la quotazione della valuta contro l'euro anziché, come d'uso, quella dell'euro contro la valuta).

Le cose si complicano quando il contraente detenga conti correnti in valuta la cui giacenza, calcolata secondo il cambio vigente all'inizio dell'anno, sia stata - nel periodo d'imposta - superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.

In questo caso bisogna tener conto di due altre disposizioni:

- quella di cui all'articolo 68, comma 6, primo periodo, secondo cui la base imponibile è pari alla differenza tra il corrispettivo della cessione e il costo della valuta, rappresentato dal cambio storico calcolato sulla base del criterio “last in first out” (circolare 165/E del 1998, par. 2.3.2);

- e quella speciale di cui al comma 7, lettera c), secondo cui per le valute estere prelevate da depositi e conti correnti si assume come corrispettivo – da confrontare con il costo Lifo della valuta-- il valore normale della valuta «alla data di effettuazione del prelievo».

Coordinare tutte queste norme in modo che diano luogo ad un risultato ragionevole (che sarebbe la tassazione del reddito effettivamente realizzato) non è semplice.

Per l'Agenzia, l'acquisto di valuta estera funzionale a regolare l'operazione di cessione a termine, costituisce una operazione autonoma e indipendente dal contratto e, pertanto, da assoggettare a imposizione secondo le regole applicabili ai prelievi di valuta dal conto corrente.

Quindi, sempre per l'Agenzia, si applicherebbero contemporaneamente, sia l'articolo 68, comma 6, sesto periodo del Tuir (rilevanza dei «punti termine» positivi o negativi), sia l'articolo 68, comma 7, lettera c) rilevanza della differenza positiva o negativa fra cambio spot alla data di chiusura del contratto e cambio Lifo di acquisto della valuta destinata a regolare l'operazione.

Tornando all'esempio, se alla scadenza, un dollaro sarà quotato 0,7 euro emergerà una ulteriore minusvalenza di 0,3 euro (0,7 – 1 euro), ma – visti gli effetti del metodo Lifo - il componente di reddito potrebbe essere maggiore o minore a seconda dei movimenti del conto corrente fra la data di stipula e quella di regolamento. La minusvalenza complessiva ammonta, nell'esempio, a 0,4 euro.

Il reddito effettivo è però pari alla differenza fra il cambio a termine contrattuale a cui viene materialmente ceduta la valuta alla scadenza (0,9 euro) e quello di acquisto LIFO della valuta consegnata termine (1 euro, nell'esempio); quindi la minusvalenza effettiva è 0,1 euro.

Come si può notare, il meccanismo suggerito dalla risposta 210 produce effetti casuali. Di sicuro genera doppie tassazioni o doppie deduzioni a seconda dell'andamento dei cambi.

Vanno fatte alcune ulteriori considerazioni:

- non pare corretto considerare la cessione a temine della valuta come “prelievo”; il cambio finale dovrebbe essere quello negoziale (il corrispettivo effettivamente incassato) e non quello spot alla data di regolamento (art. 68, comma 6, primo periodo Tuir);

- ma anche accogliendo a questa interpretazione, (non condivisa dall'Agenzia) per ottenere un risultato aderente alla realtà bisognerebbe scomputare dal reddito realizzato sul conto corrente i “punti termine” (positivi o negativi”) che hanno già assunto rilevanza fiscale in applicazione dell'articolo 68, comma 6, sesto periodo.

L'alea fiscale non può che scoraggiare l'impiego di questa diffusa tipologia di contratti.

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