Controlli e liti

Cartella annullata: se tarda il rimborso è ammesso il giudizio di ottemperanza

Per la Ctr Lombardia non basta la mera comunicazione all’agente della riscossione di disporre il rimborso

di Alessia Urbani Neri

Nell’ambito del processo tributario, il giudizio di ottemperanza deve garantire l’effettiva realizzazione del diritto riconosciuto alla parte contribuente con la sentenza di annullamento dell’atto impugnato. La Ctr della Lombardia con la pronuncia 268/1/2021 (presidente e relatore Labruna) ha così accolto il ricorso per l’ottemperanza presentato da una società che - risultata vittoriosa in primo grado a seguito dell’impugnazione di una cartella di pagamento - aveva versato nelle more del processo le imposte riportate in cartella.

La società, dopo aver ottenuto una sentenza di annullamento della cartella, aveva agito in ottemperanza per la mancata restituzione degli importi indebitamente pagati. Al contrario, l’ente impositore riteneva di aver adempiuto alla decisione mediante invio della comunicazione all’esattore del rimborso degli importi non dovuti. Il collegio ha però accolto il ricorso, nominando un commissario ad acta per l’esecuzione fattiva della pronuncia.

Secondo il collegio, in particolare, il mancato spontaneo adempimento della sentenza, ovvero la sua elusione nel termine di 90 giorni di cui all’articolo 69, comma 4, del Dlgs 546/92, comporta l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza, che deve garantire l’effettiva attuazione del credito vantato dalla parte contribuente verso l’Erario, non essendo sufficiente la mera «comunicazione all’agente della riscossione» di disporre il rimborso delle somme medio tempore versate dal contribuente. Secondo i giudici lombardi, insomma, il credito deve trovare effettivo e concreto soddisfacimento mediante la restituzione delle somme pagate in corso di causa sulla base di un atto, dichiarato, ora, illegittimo.

La pronuncia si segnala perché la giurisprudenza di Cassazione ha affermato sino ad ora che il giudizio di ottemperanza «è inammissibile se la decisione resa in sede cognitiva non contiene specifiche prescrizioni da eseguire, atteso che il giudice dell’ottemperanza non può attribuire alle parti nuovi ed ulteriori diritti rispetto a quelli riconosciuti in sentenza, ma solo enucleare e precisare gli obblighi che derivano dalla stessa» (da ultimo Cassazione, ordinanza 18418/2020). In definitiva, il giudizio di ottemperanza non potrebbe trovare applicazione nelle ipotesi in cui la sentenza si limiti all’annullamento dell’atto per illegittimità, trattandosi di sentenze che, avendo effetti caducatori, sono “autoesecutive”.

La pronuncia in commento rappresenta un primo passo verso l’affermazione dell’effettività di tutela del credito vantato dal contribuente e derivante dalla sentenza, anche se la stessa non contiene una espressa condanna del Fisco alla restituzione delle somme versate in corso di causa, ovvero a seguito dell’atto impugnato e dichiarato dal giudice illegittimo.

D’altronde, l’esigenza di una concreta tutela del diritto di credito del contribuente appare oggi più che mai sentita, visto che con l’entrata in vigore del Dlgs 156/15 (1° giugno 2016) per effetto dell’abolizione dell’inciso inziale dell’articolo 70 del Dlgs 546/92, è stata sottratta alla cognizione del giudice ordinario l’esecuzione forzata delle sentenze emesse dal giudice tributario. Quindi oggi il contribuente può trovare tutela solo nel giudizio di ottemperanza, che punta proprio a garantire l’effettivo soddisfacimento dei diritti derivanti dalla pronuncia giudiziale a lui favorevole.

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