Controlli e liti

Redditometro tra le presunzioni semplici

Negli incrementi patrimoniali la suddivisione temporale è venuta meno

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di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

La pubblicazione dello schema di decreto del redditometro valevole dal periodo d’imposta 2016 (si veda l’articolo) ripropone, in particolare, la questione della rilevanza degli incrementi patrimoniali.

In passato, prima dell’intervento del Dl 78/2010, le spese per investimenti si presumevano sostenute con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui la spesa risultava effettuata e nei quattro precedenti. Si trattava di una presunzione legale relativa che suddivideva la rilevanza reddituale di tali spese in cinque anni, nel presupposto che le stesse si ritenevano sostenute ex lege con un’accumulazione di ricchezza stratificata nel tempo.

Con il nuovo redditometro tale suddivisione temporale è venuta meno.

Questo, tuttavia, non può voler significare che, ad esempio, la spesa sostenuta per un immobile debba rilevare, come reddito presunto, interamente nell’anno. Anche dal testo dello schema del decreto del redditometro emerge la necessità di considerare che la spesa deve essere stratificata in più anni. Si dispone, infatti, che gli investimenti devono essere assunti al netto dei disinvestimenti dell’anno e di quelli “netti” dei quattro anni precedenti (oltre che da eventuali mutui - per gli immobili - e da finanziamenti - per i beni mobili registrati). Questo, anche se non significa che la spesa per incrementi patrimoniali deve essere necessariamente suddivisa in cinque anni, dà comunque l’idea della rilevanza normalmente pluriennale della stessa. La determinazione concreta del numero di anni non può tuttavia essere definita aprioristicamente, in quanto il tutto deve essere valorizzato caso per caso nell’ambito del contraddittorio preventivo.

Proprio la necessaria personalizzazione della spesa – non solo comunque quella degli investimenti: si pensi alle spese valorizzate in base agli indici Istat – porta al corretto inquadramento della presunzione del nuovo redditometro. Infatti, nonostante il decreto attuativo (sia quello abrogato sia lo schema reso noto il 10 giugno) faccia riferimento alla prova contraria del contribuente – che vorrebbe affermare la natura di presunzione legale relativa dello strumento accertativo - il tutto, in realtà, deve essere ricondotto alla normale dialettica nell’ambito del contraddittorio preventivo.

In sostanza, poiché il quantum riferibile agli investimenti dell’anno deve essere valorizzato caso per caso, l’ufficio, in caso di accertamento, dovrà debitamente motivare e provare la rilevanza degli incrementi patrimoniali che verrà attribuita al singolo periodo d’imposta in relazione a quelle che risultano le specifiche condizioni soggettive ed oggettive (tipologie di reddito dichiarate) del contribuente. In pratica, l’ufficio deve specificare i motivi (e provarli) per i quali l’incremento patrimoniale viene suddiviso (al netto dei disinvestimenti e di eventuali mutui o finanziamenti), ad esempio, in tre anni per il signor Rossi, mentre per il signor Bianchi gli incrementi vengono “spalmati” in quattro anni. E’ evidente, quindi, che non fondandosi su un’inferenza di legge l’accertamento da redditometro va inquadrato tra le presunzioni semplici.

In questo modo, se il giudice riterrà assolto l’onere probatorio da parte dell’Amministrazione finanziaria, solo a quel punto esso si trasferirà sul contribuente, il quale, chiaramente, non sarà tenuto a fornire alcuna “tracciatura” circa l’effettivo l’utilizzo della provvista (contrariamente a quanto riportato nella circolare 24/E/2013), ma, semplicemente, anche attraverso presunzioni semplici, dovrà dare prova della sostanziale compatibilità tra le risorse finanziarie disponibili e l’entità della spesa sostenuta. Queste perché talune tipologie reddituali – come il reddito d’impresa – non sono indicative della reale capacità di spesa del soggetto.

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