I temi di NT+Modulo 24

Bonus Sud, ecco perché solo l’interdittiva antimafia definitiva può consentire il recupero

Gli atti emessi in pendenza di giudizio al Tar potrebbero essere viziati da illegittimità

di Alessandro Sacrestano

Il riconoscimento del bonus investimenti nel Mezzogiorno (articolo 1, commi da 98 a 108, legge 208/2015), in ipotesi di agevolazione richiesta per un importo complessivamente superiore a 150.000 euro, è sottoposto al preventivo nulla osta antimafia. L’incentivo figura, infatti, tra i contributi, finanziamenti o mutui agevolati e altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali che, stando al disposto dell’articolo 67, comma 1 lettera g) del Dlgs 159/2011, necessitano dell’obbligatoria acquisizione della documentazione antimafia.

Quanto sopra rappresenta spesso un problema ai fini della corretta fruizione di alcune agevolazioni e, nello specifico, per quella in argomento. In linea generale, invero, il termine per il rilascio della documentazione antimafia è di 45 giorni dal ricevimento della richiesta; tuttavia, qualora le verifiche disposte siano di particolare complessità, è prevista, previa comunicazione all’Ente interessato, una proroga di ulteriori 45 giorni.
Si tratta, comunque, di un termine “ordinatorio”, quasi mai rispettato dalla Pubblica Amministrazione, con il risultato che, spesso, le richieste di concessione del bonus restavano inevase per lunghi periodi.
Per porre rimedio a tali inefficienze nel contesto operativo del bonus per il Mezzogiorno, il 3 luglio 2018 con una circolare del Ministero dell’Interno (n. 11001/119/20(8)-A) è stata adottata una soluzione operativa proposta dall’Amministrazione Finanziaria secondo cui, nel caso in cui il provvedimento antimafia fosse rilasciato oltre il termine ordinatorio prescritto, l’Agenzia delle Entrate riconosce il bonus ai richiedenti ma, ai sensi dell’articolo 92 commi 2 e 3 del Dlgs 159/2011, lo fa sotto “condizione risolutiva”. In pratica, qualora la Prefettura emanasse un provvedimento di diniego della certificazione antimafia, il credito d’imposta andrebbe interamente recuperato.

Diverso è, invece, il caso in cui l’interdittiva sia comunicata successivamente ad una precedente liberatoria a seguito della quale il Fisco aveva legittimamente autorizzato l’utilizzo del bonus. Sopravvenute circostanze che richiedessero l’interdittiva antimafia a carico del soggetto richiedente l’agevolazione non consentirebbero, in questo caso, all’Amministrazione Finanziaria il recupero dell’agevolazione.

Il provvedimento, certamente di buon senso, non cancella però del tutto le insidie della procedura, soprattutto quando eventuali interventi della Prefettura si manifestano dopo molto tempo rispetto alla concessione provvisoria.

Nel caso in cui le indagini ministeriali si protraessero per più mesi, addirittura per anni, e a distanza di tali anni arrivasse un provvedimento di interdittiva, seguendo la procedura l’agenzia delle Entrate potrebbe sentirsi legittimata ad emettere un atto di recupero inteso a revocare il beneficio accordato sotto condizione risolutiva ex nunc, con un inspiegabile danno in capo all’impresa richiedente. Se poi l’Amministrazione ritenesse che la fattispecie in esame sostanzi un’ipotesi di credito d’imposta “inesistente” (articolo 13, comma 5, del Dlgs 471/1997), il Fisco applicherà una sanzione dal cento al duecento per cento della misura del credito per la quale non potrà applicarsi la definizione agevolata di cui agli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del Dlgs 472/97.

Il confronto fra il danno potenziale e la “provvisorietà” del provvedimento di interdittiva impone quindi una riflessione in termini di difesa dell’impresa. In questo articolo, si focalizzeranno esclusivamente i presupposti normativi in base ai quali l’Amministrazione Finanziaria può effettivamente procedere al recupero del bonus.

I limiti al potere di recupero

Un primo elemento di riflessione a difesa del soggetto destinatario dell’interdittiva e del conseguente atto di recupero dell’agevolazione in argomento da parte del Fisco, è che l’articolo 67 del codice antimafia stabilisce che: “Le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere: (…) g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali (…). Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, iscrizioni attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e contratti (…)”.
Insomma, dalla lettura della norma è chiaro l’intento del Legislatore di ancorare la perdita di alcuni benefici alla definitività del provvedimento di interdittiva. Tant’è che il successivo articolo 92 aggiunge che: “(…) I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.

Ebbene, negli atti di recupero del bonus emessi da parte dell’Agenzia, il Fisco motiva espressamente ed unicamente la revoca dei crediti d’imposta in ragione del sopravvenuto provvedimento interdittivo prefettizio, ritenendo che esso, in uno con la norma illustrata, ancorché “non definitivo”, consenta l’immediata emanazione del provvedimento di recupero dei crediti d’imposta, per inesistenza degli stessi, con conseguente irrogazioni delle sanzioni in misura pari al 100%.
Orbene, è innegabile che il recupero dei crediti d’imposta de quo si configuri “unicamente” quale “effetto” di una misura di prevenzione regolata dal Dlgs 159/2011; se così è, la primaria normativa di riferimento è rappresentata dall’articolo 67 del codice antimafia, disposizione specificamente rivolta a regolare, in termini generali e sistematici, gli effetti delle misure di prevenzione. Detta norma stabilisce la decadenza di diritto dalle misure di cui al comma 1, ivi comprese le «erogazioni» (comma 1, lettera g), correlandola però espressamente al «provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione».

Posta tale premessa, se è innegabile che i crediti d’imposta in questione siano stati erogati «sotto condizione risolutiva» (articolo 92, comma 3), è altresì innegabile che tale condizione risolutiva si assuma realizzata in coerenza con l’articolo 67, comma 2, cioè allorché sussista un provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione.
In presenza del provvedimento definitivo, realizzata cioè la condizione risolutiva, l’ufficio potrà/dovrà esercitare il potere di accertamento/recupero dei crediti d’imposta riconducibili a tale fattispecie, in un termine di decadenza che avrà come dies a quo proprio l’intervenuta definitività del provvedimento prefettizio.

Il provvedimento definitivo

Per quanto sopra illustrato, quando la misura prefettizia è stata impugnata dalla contribuente con ricorso ed il giudizio risulta ancora pendente dinanzi al Tar, gli atti di recupero emessi dall’Agenzia non sono giustificati e, anzi, essi sono illegittimi rispetto alla previsione recata dall’articolo 67, comma 2, e devono essere di conseguenza annullati perché emessi in assenza di un provvedimento interdittivo definitivo.

Si tratta di una precisazione che, si badi, non reca alcun ostacolo al potere di accertamento/recupero dell’Amministrazione finanziaria ed è, di contro, coerente con la disciplina recata dal Dlgs 546/1992.

Pur in pendenza del giudizio innanzi al Tar concernente la legittimità della misura di prevenzione, infatti, parrebbe preclusa un’eventuale sospensione del processo tributario ex articolo 39 Dlgs 546/1992, per attendere gli esiti del primo. Né tantomeno sarebbe applicabile l’articolo 2, comma 3, del medesimo decreto, che rimette al Giudice tributario la decisione delle «questioni da cui dipende la decisione della controversia rientrante nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone». Ciò in quanto non sarebbe possibile sottoporre l’impugnativa degli atti di recupero ad una decisione incidentale sulla legittimità o meno del provvedimento prefettizio da parte del Tar; come già detto, infatti, è la definitività del provvedimento di prevenzione e non la legittimità dello stesso, il “fatto” che determina ex lege la decadenza di diritto dell’agevolazione, realizzando la condizione risolutiva dell’erogazione del credito d’imposta e rappresentando, al contempo, elemento costitutivo indispensabile del potere amministrativo di recupero del credito d’imposta.


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