Imposte

Piani individuali di risparmio, limiti più alti

I tetti annuali e complessivi da 30 a 150mila euro salgono a 40 e 200mila euro

di Alessandro Germani

L’articolo 7 della bozza di Ddl di Bilancio 2022 prevede un potenziamento dei piani individuali di risparmio che si sostanzia nell’innalzamento dei limiti annuali e complessivi dagli attuali 30 e 150mila euro a 40mila e 200mila euro. Ma vediamo di cosa si tratta e cosa implica.

I Pir sono stati istituiti con la legge di Bilancio 2017 e si sostanziano in una completa detassazione dei redditi di capitale (dividendi) e diversi (capital gain) rivenienti dall’investimento in questa sorta di contenitori di strumenti finanziari. Questa importante leva fiscale, che determina la completa detassazione dei redditi finanziari rivenienti dall’investimento negli strumenti qualificati, si realizza se tali strumenti sono detenuti per almeno cinque anni (holding period). In caso contrario, si avrà l’obbligo di pagare le imposte dovute e gli interessi ma senza l’applicazione delle sanzioni.

La logica dell’investimento può essere duplice: accanto, infatti, al cosiddetto Pir fai da te, strutturabile mediante un rapporto di custodia, amministrazione o gestione di portafoglio con opzione per il risparmio amministrato, vi è l’investimento indiretto – assai più frequente perché tanto l’asset allocation quanto la gestione degli aspetti fiscali è demandata all’intermediario – attraverso quote di Oicr.

Esiste un vincolo per cui ciascun anno, per almeno i 2/3, almeno il 70% deve essere investito in strumenti finanziari di imprese con radicamento in Italia (quindi anche società estere che operino sul territorio mediante stabili organizzazioni). In ogni caso il 30% del 70% deve riguardare imprese diverse da quelle inserite nel Ftse Mib di borsa italiana o di indici esteri equivalenti, quindi in sostanza il 21% deve riguardare imprese non quotate sul listino principale.

Poiché l’investimento avviene di fatto sempre in forma indiretta, ricorrendo a fondi di tipo aperto, questo comporta uno scarso afflusso verso le Pmi, in quanto la scarsa liquidità in assenza di quotazione fa sì che i fondi aperti investano per lo più in società quotate. Ciò ha fatto sì che siano stati introdotti più di recente i cosiddetti Pir alternativi, indirizzati verso una clientela più sofisticata, in grado di sopportare un maggior rischio di illiquidita derivante dall’investimento nelle Pmi mediante fondi di private equity, private debt e di credito. In tali casi i limiti annuali sono pari a 300mila euro all’anno e 1,5 milioni complessivi. Ciascun soggetto può detenere al massimo un Pir ordinario e uno alternativo. Evidentemente le due categorie rispondono a logiche differenti e al momento è stato previsto l’innalzamento dei soli limiti dei Pir ordinari, favorendo l’investimento del pubblico dei risparmiatori rispetto ai soggetti affluent che sono destinatari dei Pir alternativi. In questo modo, però, le risorse continueranno ad affluire per lo più alle imprese quotate, con lo strumento dei fondi aperti, rispetto invece all’universo delle Pmi che sono bisognose dell’intervento dei fondi chiusi in quanto portatori di finanza alternativa rispetto al tradizionale canale di finanziamento bancario.

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