I temi di NT+Modulo 24

Enti sportivi e del Terzo settore in lotta con l’Iva

Si attende il nulla osta Ue sul regime forfettario, necessario per la piena applicazione del Cts. Sul fronte Iva, dal 2024 dovrebbero entrare in vigore le disposizioni di adeguamento alla direttiva Ue

di Raffaele Rizzardi

Sono passati più di cinque anni da quando il Dlgs 117 del 3 luglio 2017 si è qualificato con il rilevante termine di "Codice" per il terzo settore (Cts).

I codici hanno la funzione di sistematizzare la normativa di un determinato ambito giuridico, con la contestuale abrogazione di tutte le disposizioni che hanno a oggetto la stessa materia. Questo testo si è occupato in primo luogo di qualificare gli operatori di questo settore, la cui importanza è stata misurata dall’Istat – dati 2020 – in 363.000 strutture con 870.000 dipendenti, ai quali vanno aggiunti i volontari.

Passando ai temi fiscali del nostro specifico interesse, stiamo per affacciarci al 2023, e non sappiamo:

• se saremo destinatari entro la fine di quest’anno dell’autorizzazione europea per lo speciale regime forfettario delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato;

• in funzione di questa autorizzazione se dal 1° gennaio prossimo avranno effetto tutte le disposizioni del Cts.

Dobbiamo inoltre considerare, ai soli fini Iva, la data del 1° gennaio 2024, quando dovrebbero entrare in vigore le disposizioni che hanno tentato l’adeguamento alla direttiva europea, rimuovendo l’improprio regime di esclusione soggettiva, per poter applicare le norme sull’esenzione. La cui esistenza nella direttiva presuppone che esista la soggettività di questi enti (in sigla Ets – Enti del terzo settore). È noto, infatti, che in assenza del requisito soggettivo, così come di quello oggettivo o territoriale, l’operazione non può essere qualificata come imponibile, non imponibile o esente, essendo invece non soggetta, esclusa o fuori campo.

Due parole sul caos normativo provocato dalla scelta di non eliminare le disposizioni della legge 215/2021 che aveva introdotto modifiche negli articoli 4 e 10 della legge Iva.

Vista la reazione del mondo non profit, timoroso di dover andare incontro ad adempimenti onerosi, per i quali non sarebbero nemmeno stati disponibili i 60 giorni previsti dallo statuto del contribuente per i nuovi obblighi, dopo meno di due settimane la legge di Bilancio 2022 (legge 234/2021) anziché cancellare queste innovazioni, le rinvia di due anni. Un rinvio così lungo è un chiaro segno che la disposizione sarà riscritta (basti pensare che ha dimenticato le società sportive dilettantistiche) ma ha provocato un caos nelle banche dati comunemente utilizzate dai professionisti.

Alcuni commi dell’articolo 4 sono abrogati, altri hanno perso dei pezzi; i commi aggiunti all’articolo 10 non sono ancora in vigore e ogni banca dati segnala a modo suo queste particolarità.

L’unico spiraglio positivo di queste disposizioni riguarda le condizioni di democraticità e di non distribuzione degli utili. Rimangono dettagliate con i vecchi criteri nella legge Iva, ma con la possibilità di fare invece riferimento alle corrispondenti clausole previste dal Codice del terzo settore.

Forse si poteva fare un passo in più: rimuovere l’elenco delle condizioni dalla norma Iva (il problema si pone peraltro anche nell’articolo 148 del Tuir) e fare riferimento solo al Codice anche per gli enti non iscritti.

Dopo questo rilevante vulnus della chiarezza normativa, il secondo tema di contrasto riguarda l’articolo 10 della legge Iva, che individua le operazioni esenti dal tributo. Il pasticcio (termine non scientifico ma ben comprensibile) inizia con la "legge Onlus", il Dlgs 460/1997, e anziché essere risolto viene ulteriormente peggiorato dal Codice del terzo settore.

La norma di origine, in vigore dal 2 gennaio 1998, aggiunge nell’articolo 10 della legge Iva il termine Onlus, al numero 12) come destinatario delle cessioni gratuite – nessun problema – e come soggetto attivo ai numeri 15) trasporto malati con ambulanze; 19) ricovero e cura; 20) attività educative, oltre che nel tormentato numero 27-ter) sulle prestazioni socio-sanitarie a soggetti svantaggiati.

La criticità di questo inserimento consiste nell’apparente diritto assoluto alle esenzioni da parte delle Onlus, in quanto soggetti così qualificati, indipendentemente dai requisiti essenziali previsti dalla legge e dalla direttiva. Prendendo alla lettera la formulazione di queste quattro attività, sembrerebbe che le Onlus potevano beneficiare dell’esenzione anche se non autorizzate, convenzionate o riconosciute. Ma così non può essere, perché i requisiti essenziali non possono essere bypassati solo per la natura del soggetto.

Per fare l’esempio della norma più breve, il numero 15, non bisognava scrivere prestazioni di trasporto malati e feriti …. «effettuate da imprese autorizzate e da Onlus», bensì «effettuate da imprese e da Onlus autorizzate». Il Cts si limita a sostituire il termine "Onlus" con "enti del Terzo settore di natura non commerciale", escludendo dall’esenzione – non se ne capisce l’intenzionalità – gli enti di natura commerciale, tra cui le cooperative sociali. Tornando alla norma di origine questi ultimi soggetti erano Onlus di diritto (articolo 10, comma 8 del Dlgs 460) e oggi acquisiscono pure di diritto la qualifica di imprese sociali (articolo 1, comma 4, Dlgs 112/2017).

Questa interpretazione letterale del vigente articolo 10, legge Iva, ha portato a due risposte a interpello, di cui una relativa a una fondazione, che danno per scontato la bontà della norma, senza rendersi conto del paradosso.

Alludiamo alle risposte 388 del 3 giugno 2021 e 475 del 15 luglio successivo. La sostituzione del termine Onlus con quello di enti del terzo settore di natura non commerciale è sbagliatissima, ma a parte le critiche a mezzo stampa, nessuno ha finora messo mano per modificarla.

A parte questa confusione nell’articolo 10 della legge Iva, il Codice del terzo settore non si occupa del nostro tributo, come espressamente dichiarato all’articolo 79, comma 1. Le uniche norme che hanno una ricaduta sull’Iva riguardano il regime di esonero (che noi chiamiamo forfettari per la ricaduta sul calcolo degli imponibili reddituali), previsto all’articolo 86 per i proventi commerciali sino a 130.000 euro delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato. Qui l’Iva non è dovuta né detraibile.

La non rilevanza del Cts per gli aspetti significativi dell’imposta sul valore aggiunto implica alcune riflessioni sulla soggettività per quest’ultima imposta.

La qualificazione di ente del terzo settore "non commerciale" non ha alcun riferimento alla soggettività Iva. Un esempio per tutti. L’articolo 79, comma 2 del Cts attribuisce la qualifica di "non commerciale" alle attività di interesse generale, ivi incluse quelle "accreditate o contrattualizzate o convenzionate" con le amministrazioni pubbliche, l’Unione europea, le amministrazioni pubbliche straniere o gli altri organismi pubblici di diritto internazionale.

La condizione di non commercialità (redditi) postula le seguenti condizioni:

• quando sono svolte a titolo gratuito;

oppure

• dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, senza rilevanza nel caso in cui i ricavi superino i costi del 6% per ciascun periodo d’imposta e per non più di tre periodi d’imposta consecutivi.

Ricordiamo che la direttiva dell’imposta sul valore aggiunto (2006/112/CE) non distingue tra attività di impresa e attività di lavoro autonomo, prevedendo all’articolo 9 unicamente la nozione di "attività economica", definita come ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi. E chi svolge un’attività economica è necessariamente un soggetto d'imposta.

Dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia possiamo escludere la soggettività Iva solo quando i servizi sono resi a titolo (quasi) gratuito: un comune olandese recuperava dai genitori mediamente il 3% del costo sostenuto per il trasporto scolastico, e pertanto non è stato considerato esercente attività economica (sentenza del 12 maggio 2016, nella causa C-520/14), cioè soggetto d’imposta.

Ma a parte queste situazioni marginali, l’ente che "contrattualizza" (ma sono analoghi anche gli altri due attributi di accreditamento e convenzione) rende servizi remunerati a titolo sinallagmatico, e pertanto è a pieno titolo soggetto all’imposta sul valore aggiunto.

Le regole Iva del terzo settore devono evitare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette a Iva. Così leggiamo nell’articolo 10 a futura memoria, anche se questa nozione, che va applicata pure alle attività economiche delle pubbliche autorità, può essere interpretata con varie sfumature.

Avendo accomunato nel titolo gli enti del terzo settore e quelli sportivi, concludiamo con una riflessione sulla legge che al momento si applica per tutti e che, con la piena attuazione del Cts dovrebbe rimanere confinata nell’ambito in cui era nata, quello sportivo.

La norma di cui dobbiamo occuparci è la legge 398 del 16 dicembre 1991. Dalla disciplina dei proventi commerciali delle associazioni sportive dilettantistiche era poi stata estesa ai proventi delle pro-loco e dei soggetti senza scopo di lucro. Oggetto della norma è una generosa forfetizzazione dell’Iva detraibile (al 50%) e del reddito, pari al 3% dei proventi commerciali.

A quest'ultimo proposito l’Ires da pagare è a dir poco ridicola: alla vigente aliquota del 24%, l’imposta dovuta per 100.000 euro di ricavi commerciali è pari a 720 euro. E la norma si applica sino a 400.000 euro.

Non essendoci necessità di documentare i costi, questa disposizione ha alimentato molte retrocessioni in nero. In altri termini se si incassano 10.000 euro per una sponsorizzazione, viene di regola chiesta una fattura del doppio. Così lo sponsor "scarica" 20.000 euro di costo, detrae l'Iva e incassa 10.000 euro in modo informale (termine usato dall'Ocse quando parla di economia sommersa).

Ovvio che quando arriva una verifica fiscale approfondita, i nodi vengono al pettine, con il rischio di un procedimento penale.

Come accennato in precedenza, dal 2023 (o 2024, in funzione dell’autorizzazione europea) il non profit perderà questa possibilità. Ma, nel contesto di un difficile pareggio di bilancio, la rilevazione dei costi e dei ricavi secondo gli schemi previsti per gli Ets, non dovrebbe dar luogo a basi reddituali imponibili significative.

L’unica lamentela che si coglie dai commenti degli Ets che stanno utilizzando la 398 riguarda la cessazione della "rendita Iva", cioè dell’incameramento del 50% dell’imposta addebitata in fattura alle aziende che, per lo più, pagano prestazioni di natura pubblicitaria.

Trattandosi di settori ad alto valore aggiunto – anche se buona parte delle prestazioni viene fatta dai volontari o comunque a titolo gratuito – di imposta sulle fatture d’acquisto ce n’è ben poca. Ma a questo riguardo la Corte di Giustizia (sentenza del 12 ottobre 2017, nella causa C-262/16) ha statuito che non può essere negato l’utilizzo di un regime forfettario, anche se comporta una detrazione nettamente superiore a quella analitica.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.

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