Imposte

Dividendi a fondi Usa: il diritto Ue limita l’aliquota applicabile

Il principio può essere esteso a operazioni tra soggetti Ires in Italia e in altri Paesi

di Gianluigi Bizioli

Il vento del mercato interno europeo scuote il sistema delle imposte sui redditi italiano in questa torrida estate. Con cinque sentenze gemelle depositate il 6 luglio, 21454, 21475, 21480, 21481 e 21482 (presidente Cirillo; relatore Cataldi), la Corte di cassazione ha direttamente applicato alla distribuzione di dividendi a un fondo statunitense l’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come interpretato dalla Corte di giustizia.
Gli elementi costitutivi della controversia sono elementari: un fondo statunitense lamentava il trattamento discriminatorio della tassazione di dividendi distribuiti da società residenti a fondi non residenti in Italia, nel caso di specie, negli Usa, rispetto all’ipotesi in cui i dividendi fossero distribuiti a fondi residenti in Italia (tertium comparationis). Più precisamente, alla prima situazione era applicata una ritenuta del 15 per cento, conformemente all’aliquota convenzionale; alla seconda, diversamente, un’imposta sostitutiva del 12,50 per cento. Questa differenza di aliquota è stata ritenuta incompatibile con la libera circolazione dei capitali che vieta qualsiasi restrizione (od ostacolo), anche fiscale, fra i Paesi membri dell’Ue e fra Paesi membri e Stati terzi.
Sono (almeno) tre le considerazioni che si possono sviluppare.
La prima, di natura prevalentemente istituzionale e processuale, è l’applicazione diretta da parte della Corte suprema italiana della giurisprudenza europea sul tema dell’applicazione della libera circolazione dei capitali ai Paesi terzi. Nonostante non vi fossero precedenti in tale giurisprudenza che riguardassero specificamente l’Italia, la Corte correttamente recepisce le rationes decidendi elaborate dalla Corte di giustizia e le applica alla controversia, conformemente ai principi della prevalenza e dell’effetto diretto.
In secondo luogo, la decisione della Corte di cassazione ha una significativa potenzialità espansiva perché può essere estesa (anche) alla distribuzione di dividendi da soggetti Ires residenti in Italia a società residenti in Paesi terzi. Non vi è dubbio alcuno, sempre nella consolidata giurisprudenza europea, che società residenti e non residenti siano comparabili se lo Stato di residenza assoggetta a tassazione i dividenti in uscita – Denkavit International BV, causa C-170/05 – e, quale effetto, l’applicazione di una ritenuta superiore, di fonte interna o convenzionale, ai dividendi esteri costituisca una discriminazione vietata dal Trattato. Tenendo conto che la distribuzione di dividendi fra soggetti Ires residenti in Italia è assoggettata a un carico fiscale complessivo pari all’1,20 per cento, tale misura costituisce l’aliquota massima applicabile anche ai dividendi distribuiti a società non residenti assimilabili ai soggetti Ires. Detto diversamente, un’aliquota – interna o convenzionale – superiore all’1,20 è incompatibile con la libera circolazione dei capitali.
Da ultimo, richiamando la sentenza della Corte di giustizia Emerging Markets, causa C-190/12, la Corte di cassazione osserva che l’esistenza di un obbligo di scambio di informazioni basato sull’articolo 26 del Modello di Convenzione Ocse o Onu è sufficiente a soddisfare l’esigenza di «garantire l’efficacia dei controlli fiscali» e, dunque, a considerare non giustificato il differente trattamento fra soggetto residente e non residente.
Alla fine degli anni ’70 del secolo scorso un grande giurista americano affermava che i principi di diritto devono essere presi sul serio. Con le sentenze citate, nell’alveo di un cammino non sempre lineare, la Corte di cassazione ha definitivamente confermato la «serietà» del diritto primario Ue e del proprio ruolo di Corte suprema.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©