Imposte

Dividendi, ipoteca del Fisco sul regime transitorio

Le Entrate salvano il potere di contestare la natura simulata della delibera; il Codice civile non preclude la distribuzione differita o frazionata dell’utile

di Paolo Mandarino

Nel principio di diritto n. 3/2022 dello scorso dicembre l’agenzia delle Entrate supera la rigida interpretazione resa nella risposta a interpello 454/2022 sul regime transitorio dei dividendi derivanti da partecipazioni qualificate detenute da persone fisiche non imprenditori (articolo 1, comma 1006, della legge di Bilancio 2018).

Premesso che nelle società di capitali il diritto alla percezione del dividendo sorge al momento in cui l’assemblea dei soci delibera la distribuzione di utili, il principio fa però salvo il potere dell’amministrazione di contestare la natura simulata della delibera o la sua riqualificazione in base agli scopi concretamente perseguiti.

Tra gli esempi l’Agenzia richiama il differimento ultrannuale del pagamento dei dividendi deliberati a fine 2022 potendosi ravvisare un’impropria estensione del regime transitorio. Tuttavia, diversamente militano le norme del Codice civile che non precludono una delibera di distribuzione differita dell’utile (sussistenti i presupposti ex articolo 2433 del Codice civile), né una sua distribuzione frazionata.

Secondariamente, con la delibera di distribuzione dell’utile, l’aspettativa del socio si trasforma in un diritto di credito rientrante nella categoria dei diritti ex articolo 2949 del Codice civile prescrittibili in cinque anni.

Nonostante una minoritaria giurisprudenza contraria (Cassazione n. 10030/2009 e n. 17839/2016), la mancata riscossione degli utili non dovrebbe riqualificarsi come un finanziamento fruttifero del socio, sia perché discriminatorio rispetto alle società che decidono di non distribuire utili negli anni, sia perché inconferente un rinvio all’articolo 46 del Tuir (vista la natura obbligatoria per la società a seguito della delibera) sia, infine, perché violato il principio di simmetria fiscale (interessi tassati in capo al socio, non dedotti dalla società).

L’Agenzia non potrebbe nemmeno opporre al socio il principio dell’incasso giuridico nei casi di rinuncia a crediti relativi a redditi tassati per cassa non trovando, detto principio, fondamento né nel Tuir né nel Dpr 600/1973 in materia di ritenute peraltro risultando contrario al principio di capacità contributiva.

Nel caso di dividendi deliberati ma non incassati, quindi, anche ove intervenuta la prescrizione ex articolo 2949, l’incasso giuridico non sarebbe opponibile, sia perché contrario ai principi della tassazione dei redditi di capitale conseguenti all’effettiva percezione delle somme, sia perché il salto d’imposta si verificherebbe solo ove il socio rinunciasse a somme dedotte dal reddito della società, sia perché assente una volontaria rinuncia al credito.

Altrettanto inconferente sarebbe poi l’eccezione per abuso del diritto visto che al contribuente è consentito scegliere il regime fiscale più favorevole. Del resto, i diversi termini utilizzati dalla legge di Bilancio 2018 nei commi 1005 e 1006 dell’articolo 1 (percepiti e deliberati) palesano la volontà del legislatore di distinguere l’applicazione del regime transitorio dalla percezione del dividendo, dovendo convenire che il regime in causa è stato calibrato in base al periodo in cui si sono formati gli utili distribuiti.

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