I temi di NT+Modulo 24

Iva, pieno recepimento del dettato Ue per evitare ambiguità interpretative

Nel caso di traduzioni con termini ambigui occorre interpretare la norma in funzione dell'economia generale e della finalità della normativa di cui fa parte

di Raffaele Rizzardi

L'imposta sul valore aggiunto si applica sulla base della normativa europea, per la cui esatta comprensione è talvolta necessario ricorrere a un confronto tra le varie versioni, con particolare riferimento a quella francese, lingua della Comunità sino agli inizi di questo millennio, e ora a quella inglese, in cui le direttive sono attualmente pensate.

Sono più di duecento i documenti della Corte di giustizia (sentenze o conclusioni) che vengono evidenziati chiedendo la ricorrenza del termine «versioni linguistiche» nella materia dell’imposta sul valore aggiunto.

È interessante segnalare la motivazione di una recente sentenza, pronunciata il 30 settembre 2021 nella causa C-299/20 - Icade Promotion Sas (Francia). La controversia riguarda la possibilità consentita agli Stati membri dall’articolo 392 della direttiva (2006/112/Ce) di applicare il regime del margine alla rivendita di terreni edificabili o di fabbricati effettuata da «un soggetto passivo che non ha avuto diritto alla detrazione all’atto dell’acquisto».

Il nostro Stato non ha recepito questa disposizione, e al riguardo occorre mettere in evidenza la distinzione rispetto a una situazione solo apparentemente analoga, prevista dall’articolo 10, numero 27-quinquies) della legge Iva che concede l’esenzione per «le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2». Qui la fonte normativa è l’articolo 136 della direttiva che fa esplicito riferimento ai beni già destinati ad attività esenti o la cui detrazione non è consentita dalle norme equivalenti al nostro articolo 19-bis1.

Tornando all’articolo 392 la Corte rileva che il testo francese parla dell’assenza del diritto di detrazione, situazione che ricorre anche nel caso di acquisto da un privato, mentre quello inglese parla di Iva non detraibile sull’acquisto, presupponendo la cessione da parte di un soggetto d’imposta.

La Corte precisa che nel caso di difformità tra versioni linguistiche occorre interpretare la norma «in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui fa parte», e conclude che il regime del margine – in questo caso – si applica solo se l’acquisto iniziale (anche di un precedente rivenditore) era stato assoggettato a Iva.

L’effettuazione e l’esecuzione delle operazioni

Fatta questa premessa sulle possibili difformità delle versioni linguistiche, dobbiamo incrementare questo problema con il confronto nel recepimento nazionale, ovviamente commentando la nostra legge Iva.

Noi utilizziamo il termine «effettuazione» con due diversi significati, che nella direttiva sono così declinati:

• fatto generatore dell’imposta (articolo 62 e seguenti della direttiva), definito come il fatto per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l’esigibilità dell’imposta. È l’effettuazione del nostro articolo 6, che disciplina – analogamente alla direttiva – anche la regola di esigibilità, con una grave difformità per le prestazioni di servizio, in quanto la norma europea consente il rinvio dell’esigibilità, ma non quello dell’effettuazione;

• luogo dell’operazione (articolo 31 e seguenti della direttiva), che noi chiamiamo luogo di effettuazione ai sensi degli articoli da 7 a 7-bis della legge Iva.

Auspicando un doveroso riallineamento alla direttiva, anche di natura terminologica in occasione dell’auspicabile riscrittura della legge Iva, ormai cinquantenne e piena di rappezzi, dobbiamo evidenziare che «effettuazione» della nostra legge Iva non è sinonimo di «esecuzione».

Nella direttiva troviamo 370 volte il termine «effettuare» e relative declinazioni, inteso come eseguire e non come fatto generatore del tributo. Troviamo anche una ventina di richiami all’«esecuzione» della prestazione, da ritenere un sinonimo in questo documento.

Nella territorialità, in particolare, l’effettuazione è una fictio iuris (Corte di giustizia, sentenza del 2 luglio 2009, nella causa C-377/08 – EGN BV – Filiale Italiana), per individuare lo Stato cui compete l’imposta, indipendentemente dal luogo in cui la prestazione viene materialmente eseguita.

L’esenzione per le cure mediche e la loro rifatturazione

Uno degli spunti per queste considerazioni linguistiche è da dato da due risposte a interpello dell’agenzia delle Entrate, la 132 del 15 maggio 2020 e la 857 del 22 dicembre 2021.

Il tema può essere così sintetizzato: per applicare l’esenzione relativa alle prestazioni sanitarie (articolo 10, primo comma, numero 18 della legge Iva) è sufficiente che la prestazione venga "eseguita" dal medico, sia quando è fatturata dal sanitario sia quando lo è da una struttura titolare di autorizzazioni in questo ambito. Vi sono invece situazioni in cui società di servizi si occupano degli aspetti complessivi relativi alla sicurezza del lavoro, e mettono anche a disposizione le visite ai dipendenti, fatte da medici libero-professionisti.

Se la società di servizi fattura tutte le prestazioni, comprese quelle sanitarie per le quali non è titolare di una specifica abilitazione, l’Agenzia individua l’esistenza di un mandato senza rappresentanza, che – al pari del rapporto di conto commissione per le cessioni di beni – individua due operazioni, cioè due effettuazioni (con una sola esecuzione), nella specie dal medico alla società di servizi, cui segue l’effettuazione dalla società di servizi al committente, cioè il datore di lavoro. Nella risposta del 2020 l’Agenzia evidenzia l’identità della natura delle due prestazioni, che comporta in entrambi casi la fatturazione esente. Il corrispettivo fatturato dal medico sarà pari a quello riscosso dalla società, decurtato della provvigione spettante a questa ultima.

Per la oggettività dell’esenzione anche nella fatturazione da parte di una società di servizi si era già pronunciata l’amministrazione finanziaria con la risoluzione 181/E del 18 settembre 2003: "si ritiene che la norma (articolo 10, primo comma, n. 18, legge Iva) abbia carattere oggettivo e che, pertanto, le prestazioni in questione siano da ricondurre al trattamento di esenzione indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto che le fornisce.

A conclusioni diametralmente opposte giunge la risposta di fine 2021, sconfessando la risposta del 2020, mediante l’introduzione di una distinzione: la mandataria di quella risposta era una società che, occupandosi del benessere delle persone, lasciava intendere di essere già essa stessa una struttura autorizzata a effettuare prestazioni sanitarie.

La risposta 857 conclude che, delle due l’una:

1. o il rapporto viene qualificato come mandato con rappresentanza, per cui il sanitario deve considerare come committente non la società di servizi, ma il cliente finale, al quale deve essere intestata la fattura, la cui emissione può anche essere demandata alla società di servizi. La regolazione finanziaria, in nome e per conto, costituisce mero movimento di denaro fuori campo Iva, anche in relazione all’articolo 15, primo comma, numero 3, relativo alle anticipazioni in questo contesto;

2. oppure, nel mandato senza rappresentanza, la fattura dal medico alla società di servizi è esente e quella dalla società di servizi al cliente finale è imponibile.

Questa conclusione suscita non poche perplessità. La risposta cita alcune sentenze della Corte di giustizia europea:

• 20 settembre 2003, cause C-307/01 e 212/01 – che non si occupano di chi fattura le prestazioni, ma che hanno unicamente per oggetto la distinzione tra tipologie di prestazioni esenti e tipologie imponibili non aventi una diretta finalità sanitaria (perizie per domande di pensione, referti per azioni di responsabilità nei confronti di chi ha provocato una lesione);

• 10 settembre 2002, causa C-141/00 – che dice l’esatto contrario di quanto sostiene l’Agenzia.

Questa sentenza ha due dispositivi per le cure mediche (gli altri due riguardano l’assistenza sociale, per la quale si chiede la verifica del riconoscimento del soggetto):

1. l’esenzione non dipende dalla forma giuridica del soggetto che fornisce le prestazioni;

2. l’esenzione si applica alle prestazioni di una società di capitali che gestisce la somministrazione di cure in loco, rese da personale infermieristico qualificato.

Nella narrazione della causa non si individua mai la società come soggetto titolare di particolari abilitazioni, in quanto si trattava di una società a responsabilità limitata, il cui statuto prevedeva scopi di beneficenza, mediante assistenza di persone non autosufficienti, scopi riconosciuti dall’amministrazione fiscale (e non sanitaria) con uno specifico parere.

In particolare al punto 27 della motivazione la Corte afferma che questa disposizione non richiede, perché talune prestazioni mediche vengano esentate, che queste ultime siano fornite da un soggetto passivo avente una particolare forma giuridica. È sufficiente che siano soddisfatte due condizioni, vale a dire che si tratti di prestazioni mediche e che esse siano fornite, cioè eseguite, da persone in possesso delle qualifiche professionali richieste.

Anche in questa sentenza (punto 25 della motivazione) si rammenta che le esenzioni non possono essere interpretate estensivamente, ma vanno inquadrate nel contesto della direttiva e nelle sue finalità. Tra queste quella di evitare un diverso carico fiscale tra chi sostiene il costo della stessa prestazione, che non può essere esente piuttosto che imponibile in funzione della tipologia del soggetto che emette la fattura.

Soggetto che quindi «effettua» la prestazione, per usare la nostra terminologia, ma non la esegue.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.

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