I temi di NT+Modulo 24

Iva sui derivati finanziari, solo il corrispettivo è rilevante

Le ultime posizioni di prassi aprono un divario rispetto a quelle adottate a livello comunitario

di Raffaele Rizzardi

Vat on financial and insurance services. Sono almeno trent’anni che questo tema viene preso in considerazione dalla Commissione, preoccupata da due temi che alterano la corretta applicazione dell’Iva: la mancanza di neutralità organizzativa, conseguente alla indetraibilità dell’imposta sugli acquisti di beni o servizi, conseguente al volume d’affari pressoché totalmente esente e l’incertezza sulla determinazione della base imponibile.

Dopo vari tentativi di modificare la normativa, l’ultimo era del 2006, si è ora conclusa la consultazione su un documento del 22 ottobre 2020, che ha dato luogo a una sintesi delle risposte in data 9 settembre 2021. La Commissione europea ipotizzava di poter formulare una proposta di modifica normativa nel quarto trimestre del 2021, e possiamo quindi auspicare che il progetto possa prendere forma nei primi mesi di quest’anno.

Il problema non esisteva più da cinquanta anni, quando vennero formulate le prime due direttive, la 227 e 228 dell’11 aprile 1967, che il nostro Paese ha recepito, buon ultimo, con il testo iniziale del Dpr 633/1972. 

Le banche e le assicurazioni facevano tutto in casa con il proprio personale (pensiamo al «centro meccanografico» e agli addetti alle pulizie) e quindi l’indetraibilità dell’Iva sui costi dei servizi esterni era trascurabile. I prodotti finanziari erano semplici: il deposito bancario fruttava degli interessi e la polizza assicurativa si limitava a coprire dei rischi.

La prima direttiva mette in evidenza, in una delle sue premesse, che il sistema è stato studiato fondamentalmente per il commercio dei beni, in quanto l’imposta deve assicurare «la neutralità concorrenziale nel senso che, all’interno di ciascun paese, sulle merci di uno stesso tipo gravi lo stesso carico fiscale, qualunque sia la lunghezza del circuito di produzione e di distribuzione, e che, negli scambi internazionali, sia noto l’ammontare del carico fiscale gravante sulle merci». Nessuna specifica considerazione per le prestazioni di servizi.

Esaminiamo ora due casi concreti, relativi all’incertezza della determinazione della base imponibile, che hanno formato oggetto,  da parte dell’agenzia delle Entrate, della risoluzione 79/E/2021, ultima dell’anno, e della 1/E/2022, la prima dell’anno (si vedano gli articoli «Iva, differenziali di derivati come pronti contro termine» e «Iva, nei contratti derivati non c'è controprestazione»).

I non performing loans (Npl)

La risoluzione del 2021 risponde alla richiesta sulla contabilizzazione ai fini Iva degli acquisti di crediti deteriorati, mediante cessione pro-soluto. Questi prodotti vengono anche chiamati Utp (Unlikely to pay), cioè «Improbabile che paghi». Quest’ultima definizione sottende una migliore probabilità di riscossione rispetto agli Npl.

Il documento di prassi contiene la citazione di sette sentenze della Corte di Giustizia, che si occupano solo incidentalmente della qualificazione del corrispettivo o che lo fanno per casi estranei al nostro argomento, per esempio sul corrispettivo di mensa, piuttosto che per il trasporto degli alunni.

Le cessioni di credito pro-soluto hanno formato oggetto di due specifiche sentenze europee: • 26 giugno 2003, nella causa C-305/01 - Mkg - Kraftfahrzeuge-Factoring GmbH;

• 27 ottobre 2011, nella causa C-93/10 - Gfkl Financial Services AG.

La prima sentenza tratta delle cessioni di credito a scopo di finanziamento e di riscossione del credito, concludendo che le operazioni in cui il cessionario acquista crediti assumendo il rischio di insolvenza dei debitori costituiscono atti di recupero crediti, che pertanto non beneficiano dell’esenzione. Questo a condizione che sia individuabile un corrispettivo e che l’acquirente del credito fatturi ai propri clienti una commissione.

La seconda sentenza si occupa invece delle vere e proprie cessioni di Npl, che non sono eseguite per recuperare il credito e ottenere un finanziamento, ma hanno come causa concreta quella di “ripulire” l’attivo del bilancio, liberando così patrimonio di vigilanza per poter procedere con nuove operazioni.

Il mercato degli Npl con questa finalità è ampiamente prevalente rispetto alla prima ipotesi: stime di uno dei principali operatori italiani parlano di 34 miliardi di euro, oltre a 2,5 miliardi di Utp nel 2021.

La Corte conclude che non si configura nessuna operazione rilevante ai fini Iva quando un operatore acquista, a proprio rischio, crediti in sofferenza a un prezzo inferiore al loro valore nominale, qualora – e il caso che dovrebbe ricorrere nella totalità di queste cessioni – la differenza tra il valore nominale dei crediti e il loro prezzo d’acquisto rifletta il valore economico effettivo dei crediti al momento della loro cessione.

La risoluzione 79/E, pur non richiamando quest’ultima sentenza, ne mutua di fatto la conclusione, secondo cui vi sarebbe una base su cui calcolare il tributo pari alla differenza tra valore economico e corrispettivo di acquisto del credito. Questa differenza sarebbe soggetta a Iva – sembrerebbe in regime di esenzione, in quanto si parla di una componente di sconto legata al servizio finanziario nei confronti di chi acquista il credito, al momento in cui esegue il pagamento alla controparte.

Suscita qualche perplessità la conclusione secondo cui questo corrispettivo non dovrebbe essere comunicato alla controparte, in quanto tra soggetti d’imposta – come dice la Corte di Giustizia – occorre "fatturare" la prestazione.

Conclusivamente il riferimento al «servizio finanziario» richiama le premesse della risoluzione, in cui la cessione dei Non performing loans è fatta per consentire al cedente di ottenere un finanziamento e non per la sistemazione delle poste di bilancio, evitando di dover sostenere ingenti costi per il recupero del credito.

Si spiega così come pacchetti di crediti in sofferenza vengano ceduti a corrispettivi anche inferiori al 10%, entità che non consente di qualificare queste operazioni come concessione di credito al cedente.

La regolazione dei derivati finanziari

Ben più rilevanti sono le perplessità suscitate dalla prima risoluzione del 2022. In merito all’iter logico di questo atto amministrativo si afferma – dopo oltre 22 anni - che una legge del 1999, relativa ai differenziali dei pronti contro termine avrebbe superato una motivata risoluzione del 1998 sui differenziali dei contratti derivati.

Il punto debole di questa conclusione è che i «differenziali sui pronti contro termine» non hanno nulla a che vedere con i «differenziali dei contratti derivati». In altri termini non possiamo parlare di norme e di interpretazioni genericamente relative ai differenziali, ma a due distinte tipologie, che non dialogano minimamente tra di loro.

Alcune significative distinzioni:

• il differenziale del «pronti contro termine» è sin dall’inizio e in modo palese espressione contrattuale della remunerazione del deposito di denaro, formalizzato come acquisto di un titolo a pronti e nella contestuale rivendita dello stesso a termine;

• il differenziale di un contratto derivato è un elemento aleatorio, basato su un "sottostante" operante nel mercato, sul quale le parti non hanno nessun potere di orientare l’esito;

• il principio contabile Oic 12 ritiene sufficienti tre righe per il differenziale del pronti contro termine, che viene richiamato due volte, rispettivamente tra i proventi finanziari per chi ha acquistato (formalmente) il titolo, tra gli oneri finanziari per la controparte. Questa indicazione viene data distintamente per le imprese che adottano o meno il costo ammortizzato;

• il principio contabile Oic 32, strumenti finanziari derivati, si occupa di questi strumenti da cui nascono differenziali, di ben altra natura. La rilevazione contabile di questi contratti occupa ben 121 pagine.

La risoluzione evidenzia anche una sentenza a sezioni unite –  8770 del 12 maggio 2020 – che qualifica i derivati finanziari nel contesto di una lite promossa da un ente locale Comune che aveva aderito a un simile contratto senza l’autorizzazione del consiglio comunale. Ovviamente questa sentenza non affronta minimamente gli aspetti Iva dei derivati, dovendo solo accertare la liceità della stipulazione in un contesto in cui l’ente pubblico può solo operare per coprire i propri fabbisogni finanziari e non per svolgere un’attività economica.

Non può quindi affermarsi che la legge 133 del 13 maggio 1999 (articolo 4 a modifica dell’articolo 4 della legge 146/1988) disponendo in materia di differenziali sui pronti contro termine abbia inteso disciplinare i differenziali dei contratti derivati.

Come era stato evidenziato nella motivata risoluzione 77 del 16 luglio 1998, condivisa dal Consiglio di Stato, i differenziali che definiscono un derivato non hanno natura di corrispettivi, ma sono l’oggetto della prestazione e non possono essere qualificati come controprestazioni. 

Particolarmente interessante la motivazione, secondo cui i derivati sono contratti aleatori ad alea bilaterale nei quali alla reciprocità del rischio nel momento genetico del rapporto non corrisponde, tuttavia, una reciprocità di prestazioni   legate da un nesso di sinallagmaticità funzionale. Infatti, alla scadenza prefissata, si  verifica  un fenomeno di concentrazione dell’obbligazione a  carico  di una sola delle parti contraenti, per cui il contratto dà luogo a un’unica prestazione.

Pertanto la sola operazione rilevante ai fini Iva è la commissione che spetta all’organizzatore del derivato.

Un’ultima osservazione sulla differenza tra denaro oggetto del contratto e denaro avente natura corrispettiva. L’articolo 3, secondo comma, numero 3) della legge Iva afferma che i «prestiti di denaro» costituiscono prestazioni di servizi. Se non rientra l’interpretazione della risoluzione 1/E/2022 rischiamo che qualcuno possa pensare che occorre fatturare l’importo del finanziamento, mentre l’operazione rilevante ai fini Iva è data unicamente dal corrispettivo, cioè dall’ammontare degli interessi spettanti a chi ha erogato il prestito.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.

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